Cristo è risorto, vinta è ormai la morte. E anche la distopia.
Apr 10, 2023In questo tempo ormai chiaramente decristianizzato, numerosi sono gli accadimenti che evidenziano come, allontanato Dio dalla vita di ogni giorno, l’uomo non può che abbracciare un cammino distopico.
La distopia, infatti, ha la necessità di imporre una direzione basata sullo sviamento della natura delle cose, per creare un travisamento della realtà che renda l’uomo (creato a immagine e somiglianza di Dio) un essere incapace di distinguere e riconoscere il vero, il bello e il giusto.
Un uomo, cioè, ferito e impossibilitato ad aderire a ciò che corrisponde all’anelito del suo cuore, che lo porterebbe a desiderare e accettare solo ciò che è conforme in modo esaustivo alla sua domanda di significato.
Dunque l’attacco distopico non può che avvenire all’unico luogo che ridesta questa domanda; ed è un attacco continuo, violento, senza sosta.
Gli ultimi eventi sono precisi e marcati, passando da uno spot pubblicitario dove un cane (si, proprio un cane) equipara l’ultima cena ad una “cattiva compagnia”, alla sospensione disciplinare di una maestra rea di aver fatto recitare l’Ave Maria ai suoi scolari, fino ad arrivare a una ragazzetta predicatrice della fine del mondo a causa del cambiamento climatico (di cui ha però spostato la data, inizialmente invano “profetizzata” per il 2023) alla quale è stata addirittura conferita una laurea honoris causa in teologia.
E potrebbe continuare l’elenco di fatti che dovrebbero generare una naturale reazione di sdegno o di immediata identificazione del loro male, verso i quali invece si denota il sonno dei più rispetto a una distopia, neanche più percepita come tale da menti e cuori ormai assuefatti ad una narrativa falsa che continua imperterrita a tacere anche sulle morti “improvvise”, paurosamente aumentate dopo la somministrazione di un siero magico, nella cui efficacia i più continuano a credere, nonostante l’evidenza della menzogna narrativa.
Avallati in tale idolatrica posizione anche dai più alti ambiti di uno stato ormai inequivocabilmente “laido”, dove è stata sentenziata impunemente anche la mercificazione della vita, chiudendo le coscienze e aprendo le porte ad ulteriori provvedimenti distopici.
E nel frattempo con un governo che sta trascinando il nostro popolo in guerra, giustificando ipocritamente l’invio di armi come unico modo per ristabilire gli equilibri di un potere che fagocita tutto e disprezza la vita.
Ecco, proprio la vita.
È questo il bene supremo, appiattito ora all’unico orizzonte di una illusoria sopravvivenza fisica, complice anche una chiesa ufficiale che ha taciuto su tale mercificazione, avallandola e travisando volutamente il reale significato del termine salus, imponendo una sanificazione compulsiva degli altari e delle stesse mani dei celebranti, in un rito ormai tremendamente incistato di gesti sacrileghi.
Ma noi, in questo tempo infine tragico, non possiamo accettare tale riduzione, perché la resurrezione di Cristo ha vinto la morte, svelando la natura mortale di ciò che è mortale, donandogli dignità nella vita eterna. Per questo il cristiano non teme la morte, perché sa che non è l’ultima parola data alla sua vita.
Perché la sua vita non procede in una direzione distopica senza significato, ma ha la dignità data dall’ordine del creato, che discende da ciò che ne ha decretato la salvezza: la resurrezione dai morti di Cristo che ridona senso e speranza all’uomo e gli fa alzare lo sguardo verso l’alto, oltre l’orizzonte piatto di una visione di paura, mortale e terrena.
Con tale animo il cristiano si sveglia ogni mattina, sapendo di non essere soltanto una creatura finita, e affronta la vita non oppresso dal limite della precarietà della sua esistenza fisica, che lo indurrebbe solo a “sanificare” il suo cammino, ma lo indirizza sul criterio “salus animarum suprema lex“. Il cristiano guarda, cioè, alla salvezza dell’anima come al supremo principio che fornisce l’ordine delle cose, individuando così anche il proprio posto nell’armonia del creato, nella certezza della Pasqua.
Noi sappiamo dov’è il luogo di questo ordine, dove esiste tale armonia, dove trovare il ristoro al corpo e allo spirito, nella speranza della resurrezione che ha vinto il nostro limite mortale.
Da questa consapevolezza possiamo attingere anche l’unico giudizio che salva, perché dona questa certezza.