Con Fernandez nasce il Dicastero contro la Dottrina della Fede
Jul 05, 2023Francesco ha nominato prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede l’arcivescovo Victor Manuel Fernández, da sempre suo fedele compagno e che lui stesso ha via via promosso in Argentina ad incarichi significativi, come il rettorato all’Università cattolica e l’ordinariato a La Plata in una frettolosa sostituzione del vescovo Héctor Aguer, colpevole di aver dissentito con il papa su Amoris laetitia.
Essendo Fernández la copia carbone di Francesco (qualcuno sospetta addirittura anche il contrario), essendo egli tra gli autori materiali delle sue encicliche ed esortazioni, ed essendosi proiettato ormai da tempo sulla linea avanguardista di riforma della Chiesa, Fernandez era l’“innominabile” per quanti sono attualmente preoccupati del processo in atto guidato da Santa Marta, soprattutto in prossimità del Sinodo sulla sinodalità.
Questo ora potrà svilupparsi nella linea dell’accoglienza dei temi caldi - benedizione coppie omo, diaconato femminile, superamento del celibato sacerdotale – senza più un controllo da parte di Roma, anzi con la sua copertura e connivenza. Per questo, la nomina ha sorpreso molti che vi vedono un atto di arroganza, un disprezzo per i tanti che nella Chiesa sono giustamente preoccupati per le attuali spinte incontrollate in avanti, una accelerazione senza precedenti e senza esclusione di colpi nel tentativo di arrivare al rendiconto finale. Una nomina destinata ad accentuare la conflittualità nella Chiesa, obbligando la controparte ad una più dura resistenza.
Se preoccupa molto il nome della persona nominata, ancora di più preoccupa la lettera – anche questa un fatto sorprendente – che il papa gli ha indirizzato, scritta con lo stesso stile della lettera di risposta del nuovo prefetto: il linguaggio adoperato è perfettamente uguale, al punto che qualche malizioso ha ipotizzato che a scrivere entrambe sia stato Fernández, Ghost Writer anche in questa occasione.
Si tratta di una lettera dai contenuti dirompenti nei confronti di quanto fino ad ora è stata ritenuta la finalità specifica della Congregazione per la Dottrina della Fede e, addirittura, di quanto si è ritenuto essere la Dottrina della Fede. Al punto che, dopo averla letta, è lecito porsi con apprensione la questione di cosa ne sarà di questo centrale Dicastero della Curia romana, tenuto conto che se cambia questa Congregazione vuol dire che cambia la Chiesa intera.
La Congregazione per la Dottrina della fede non è un centro culturale, non anima la ricerca teologica, non suscita dibattiti e non avvia processi di confronto. Si deve dire, piuttosto, il contrario. La Congregazione dice l’ultima parola e chiude, su quel punto, la ricerca, il dibattito e il processo. Nella istruzione Donum veritatis sulla funzione ecclesiale del teologo della stessa Congregazione guidata allora da Ratzinger, viene ben spiegato (n. 14) come il magistero abbia un carattere “definitivo” per tutelare “il popolo di Dio da deviazioni e smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza errori la fede autentica”.
La Congregazione è a servizio di questa esigenza di definitività. Essa interviene (interveniva? …) per precisare la verità quando nascano dubbi pericolosi o quando essa sia addirittura negata, lo fa in modo affermativo ma, indirettamente, anche negativo di condanna dell’errore. Nella sua lettera a Fernández, invece, Francesco dice che essa deve incoraggiare il “carisma dei teologi e il loro impegno per la ricerca teologica” purché “non si accontentino di una teologia da tavolo”, di una “logica fredda e dura che cerca di dominare tutto”.
Qui viene smontato il senso del termine “dottrina” e quindi cambia il compito della Congregazione. Con una immagine confusa come quella della “teologia da tavolo” e con la forzatura strumentale della “logica fredda e dura” si demolisce la visione corretta e tradizionale della dottrina, intesa ora come ricerca in un contesto processuale. Il nuovo prefetto, quindi, dovrà vegliare non sulla creatività non sempre equilibrata dei teologici per ricondurli alla loro genuina vocazione ecclesiale, ma sulle valutazioni della Congregazione, che non dovranno essere più dottrinali (fredde e dure nel linguaggio bergogliano), ma possibiliste e aperte.
È facile immaginare cosa questo voglia dire per i temi caldi oggi sul tappeto e che con il Sinodo diventeranno caldissimi.
Questo lavoro di animazione, secondo la lettera di Francesco, dovrà essere fatto in un clima di pluralismo sia filosofico che teologico. «La Chiesa “ha bisogno di crescere nell’interpretazione della parola rivelata e nella comprensione della verità”, senza che ciò implichi l’imposizione di un solo modo di esprimerla. Perché “le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere anche la Chiesa”». Spariscono i concetti di Rivelazione, di Deposito della fede e di Dottrina. Rotto anche il rapporto tra ragione e fede che rende impossibile la coesistenza della fede rivelata con tutte le filosofie e tutte le teologie, che l’amore non può armonizzare se non passando attraverso la loro verità e non contro di essa. L’amore rispetta il principio di non contraddizione.
La lettera contiene poi anche un colpo basso nei confronti della conduzione del Dicastero durante i pontificati precedenti: “Il Dipartimento che presiederai in altri tempi è arrivato ad usare metodi immorali. Erano tempi in cui, più che promuovere la conoscenza teologica si perseguitavano eventuali errori dottrinali. Quello che mi aspetto da te è senza dubbio qualcosa di molto diverso”. L’astuzia della frase “in altri tempi” non riesce a nascondere che la critica viene rivolta al recente passato e soprattutto alla lunga era di Ratzinger a capo della Dottrina della fede.
Anche lasciando stare la persona nominata, questa lettera è sufficiente a preoccupare grandemente circa il futuro di questo Dicastero. Sarà probabilmente una Congregazione per la Dottrina della fede poco interessata alla Dottrina, o addirittura ad essa avversa. Intenderà il proprio ruolo come promozione del dialogo teologico ma senza più esercitare una forma di controllo e garanzia dottrinali. Si concepirà come il motore di un processo più che il Dicastero che garantisce la meta del percorso. Sarà pluralista e accoglierà tutte le filosofie e tutte le teologie. Sarà tutto questo e forse altro ancora. Non si pensi però che non sarà più dogmatica o che non sarà inflessibile. Lo sarà, ma di un dogmatismo senza verità e incentrato sulla prassi. Verrà condannato e perseguitato chi non si adeguerà alle nuove pratiche. E anche solo “resistere” diventerà capo di accusa.
Dello stesso autore, Stefano Fontana, ti consigliamo:
“Matrimonio e famiglia, Chiesa al bivio” facente parte della nostra collana SAPERE PER CAPIRE