“Dialogo” o conversione: tertium non datur
Mar 11, 2023Il cattolicesimo ha sempre insegnato che esiste una sola verità, quella di Gesù Cristo: per questo Egli ha fondato non un Chiesa, ma la Sua Chiesa, l’unica santa e vera; e che i cristiani non devono mettersi a dialogare con le false religioni, ma predicare a tutti gli uomini il Vangelo, senza se e senza ma: E chi crederà sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.
Questo, dal tempo degli Apostoli fino al 1965: cioè per millenovecento anni.
Poi sono arrivati i teologi liberali e neomodernisti; sono arrivati i gesuiti della nuova generazione (fino a pochi anni prima erano stati i più intransigenti difensori della dottrina di sempre); e sono arrivate, col Concilio, la Nostra Aetate e la Dignitatis Humanae, le quali, con l’apparenza di voler chiarire e approfondire la Rivelazione (le nuove parole-truffa!), di fatto l’hanno adulterata, falsificata, capovolta.
Poi, nei decenni successivi, il solco è stato lentamente, ma tenacemente approfondito; e sempre con la somma ipocrisia di non dichiarare la rottura, ma anzi di proclamare ad ogni pie’ sospinto (excusatio non petita) la fedeltà al magistero di sempre. Ma allora, perché scomunicare monsignor Lefebvre, il quale in fatto di dottrina non aveva cambiato assolutamente nulla, anzi aveva la sola “colpa di non voler cambiare nulla? Così, dopo Paolo VI, durante il pontificato di Giovanni Paolo II (e non ci s’illuda: Giovanni Paolo I la pensava esattamente allo stesso modo!) e poi quello di Benedetto XVI, fino all’attuale inquilino del Vaticano (nessuna illusione pure qui: fra gli ultimi due le differenze sono di forma e non di sostanza) i papi post-conciliari non hanno fatto altro che scavare ulteriormente nel solco già tracciato e adoperarsi affinché la rottura fosse totale e irrimediabile, ma soprattutto passasse inosservata: il che è stato reso possibile dal duro sonno di milioni di fedeli.
Ecco dunque come si esprimeva Giovanni Paolo II a proposito del cosiddetto dialogo interreligioso (da: Giovanni Paolo II, Parole sull’uomo, a cura di Angelo Montonati, Milano, Rizzoli, 1989, e Fabbri Editori- Corriere della Sera, 1995, pp. 152-153):
A nessuno sfugge l’importanza e la necessità che il DIALOGO INTERRELIGIOSO assume per tutte le religioni e tutti i credenti, chiamati oggi più che mai a collaborare affinché ogni uomo raggiunga la sua meta trascendente e realizzi la sua crescita autentica, e aiuti le culture a salvare i propri valori religiosi e spirituali, in presenza di rapidi mutamenti sociali.
Il dialogo è fondamentale per la Chiesa, la quale è chiamata a collaborare al piano di Dio con i suoi metodi di presenza, di rispetto e di amore verso tutti gli uomini. Per questo io stesso fin dalla prima Enciclica [Redemptor Hominis, 4 marzo 1979] e poi nei vari incontri con diverse personalità e, soprattutto in occasione dei miei vari viaggi, non ho cessato di sottolineare l’importanza, le motivazioni e le finalità di tale dialogo. Per la Chiesa esso si fonda sulla vita stessa di Dio uno e trino. Dio è padre di tutta la famiglia umana; Cristo ha unito a Sé ogni uomo; lo Spirito opera in ogni uomo: perciò il dialogo si fonda anche sull’amore per l’UOMO in quanto tale, che è la via primaria e fondamentale della Chiesa, e sul legame esistente tra le culture e le religioni professate dagli uomini.
Questo rapporto amichevole tra credenti di diverse religioni nasce dal rispetto e dall’amore per l’altro, presuppone l’esercizio delle libertà fondamentali per praticare interamente la propria fede e confrontarla con quella degli altri.
Ecco cosa scrive san Bonaventura da Bagnoregio a proposito della chiamata all’evangelizzazione degli infedeli e al martirio di san Francesco d’Assisi nella Vita di San Francesco (legenda maior), Edizioni Porziuncola, 1976, 2000, IX, 5, 8, 9, pp. 128; 133-134; 135):
L’ardente fuoco della sua carità lo spingeva, inoltre, nello sforzo di raggiungere il glorioso trionfo dei santi Martiri, nei quali nessuno mai riuscì a estinguere la fiamma dell’amore, né a fiaccare la fortezza.
Anch’egli, acceso di quella carità perfetta che ALLONTANA OGNI TIMORE, desiderava di immolarsi quale OSTIA VIVENTE per il Signore, attraverso la fiamma del martirio, per ricambiare così l’amore a Cristo, morto per noi, e incitare gli altri ad amare il Signore. Fu così che, nel sesto anno dopo la sua “conversione”, infiammato dal desiderio del martirio, stabilì di imbarcarsi per la Siria, e andare a predicare la fede cristiana e la penitenza «ai Saraceni e agli altri infedeli». (…)
E difatti, anche il Sultano, osservando l’ammirabile fervore di spirito e le virtù di quest’uomo di Dio, lo ascoltava volentieri e lo invitava insistentemente a voler rimanere presso di lui.
Il servo di Gesù Cristo, però, ispirato dall’alto, rispondeva: «Se mai vorrai convertirti a Gesù Cristo tu e il tuo popolo, io, per amore di lui, rimarrò volentieri con voi. Se tu hai ancora dei dubbi nell’abbandonare la legge di Maometto per abbracciare la fede di Gesù Cristo, ordina che venga acceso un gran fuoco, ed io entrerò in esso insieme con i tuoi sacerdoti. Così tu conoscerai quale sia la fede più vera e più santa e, quindi, quella da abbracciare con maggiore sicurezza».
Il Sultano, però, gli rispose: «Non credo che tra i miei sacerdoti ve ne sia qualcuno disposto ad esporsi alla prova del fuoco, o a qualunque altra specie di tormenti, per la sua fede». Difatti, egli si era accorto che uno tra i suoi sacerdoti, benché fosse tra i più eminenti e innanzi negli anni, appena sentita quella proposta si era dileguato.
Allora il Santo insisté: «Se mi prometti, per te e per il tuo popolo, di convertirvi al culto di Gesù Cristo se io uscirò illeso dal fuoco, entrerò in esso da solo. Se rimarrò bruciato, ciò sarà da imputare ai miei peccati; se, invece, l’onnipotenza divina mi proteggerà, voi riconoscerete Gesù Cristo, potenza e sapienza di Dio, come vero Dio, Signore e Salvatore di tutti».
Il Sultano, però, rispose di non poter accettare questa alternativa, perché temeva una sommossa da parte del popolo. (…)
Quando Francesco si accorse di non riuscire a combinar nulla per la conversione di quel popolo e di non poter raggiungere il suo intento del martirio, ispirato da Dio, ritornò nei paesi cristiani.
Per disposizione della bontà divina, dunque, e per i meriti delle virtù del Santo, avvenne che, misericordiosamente ed in modo meraviglioso, questo amico di Gesù Cristo cercasse con tutte le sue forze di dare la vita per Lui, ma non vi riuscisse.
Dal confronto fra questi due brani emerge in tutta evidenza che qualcosa non va; che non si tratta di due maniere diverse d’intendere la religione cattolica, ma di due religioni diverse. Delle quali l’una è sempre fedele a se stessa, l’altra invece, pur se a parole si dice fedele alla Scrittura e alla Tradizione, secondo il magistero perenne, in realtà ha cambiato i fondamenti stessi della dottrina, cioè del contenuto di verità su cui la fede si fonda. E non si venga a dire che si tratta solo di un’impressione, dovuta in realtà al lungo arco di tempo che intercorre fra l’epoca di San Francesco e quella di Giovanni Paolo II: perché parlare della dottrina significa, appunto, parlare della verità; e la verità, fino a prova contraria, è ferma e immutabile, non è soggetta a cambiamenti, aggiustamenti, compromessi di sorta.
A torto Giovanni Paolo II è apparso, a suo tempo, come un papa conservatore, se non addirittura reazionario; il fatto è che, rispetto alle pretese e alle aspettative della corrente liberale e modernista esistente nella Chiesa, e a quelle, ancor più estremiste, della stampa e dei mezzi d’informazione “laici”, e in particolare della sinistra, i criteri per giudicare l’operato di un pontefice si sono talmente spostati in senso progressista, che anche un papa liberale passa o viene fatto passare per conservatore. E intanto i la massoneria ecclesiastica mette a segno il suo colpo da maestro: quello di aver spostato significativamente gli equilibri sempre più in là, creando un poco alla volta, quasi insensibilmente, una situazione di non ritorno. Così è stato per papa Wojtyla. Egli è stato, in tutto e per tutto, un papa conciliare, cioè un papa che ha voltato le spalle al magistero di sempre e alla dottrina di sempre, per abbracciare incondizionatamente i nuovi dogmi: la precedenza acquisita in merito alla storia della salvezza dai fratelli maggiori nella fede di Abramo (salvo il dettaglio che i cristiani non sono seguaci di Abramo, ma di un certo Gesù Cristo); la libertà soggettiva di professare qualunque fede e di credere in qualsiasi divinità; il dovere di rispettare non solo la persona dei seguaci delle false religioni, ma anche le false religioni in se stesse, partendo dall’assunto (relativista, e perciò falso) che in ognuna di esse sussiste qualche scintilla della verità divina.
Ebbene: che cosa significa affermare, come fa Giovanni Paolo II, che il “dialogo interreligioso” (un concetto che è tutto un programma e che andrebbe quantomeno chiarito e non dato per auto-evidente) è di somma importanza per tutte le religioni e per tutti i credenti, mettendo così sullo stesso piano la sola, vera religione e le false religioni? Come può essere una cosa buona se conduce gli uomini lontano dalla verità e, dunque, lontano dalla salvezza? Peggio ancora: che significa affermare che tutti sono chiamati, oggi (e perché oggi e non ieri o ieri l’altro?; che cos’ha di speciale l’oggi?) a collaborare affinché ogni uomo raggiunga la sua meta trascendente e realizzi la sua crescita autentica? Che cosa è mai questa generica meta trascendente; che sarà mai codesta crescita autentica? Esiste, dunque, una “crescita autentica” che prescinde da Gesù Cristo, che prescinde dalla Verità? Che, anzi, come nel caso del Talmud e di altri testi “sacri”, comporti la bestemmia contro Gesù e il suo esplicito ripudio? E che c’entra il discorso sulla necessità per le diverse culture (culture? ma non stavamo parlando di religione?) di salvare, appunto mediante il dialogo fra le religioni, i propri valori religiosi e spirituali, in presenza di rapidi mutamenti sociali? Questo è un discorso antropologico e laico, che pone tutte le culture e tutte le religioni sullo stesso piano di verità e dignità: il culto della Pachamama e quello di Gesù Cristo. Non è per niente un discorso cristiano; non è quello che legittimamente i fedeli si possono aspettare dal papa, capo della Chiesa e vicario di Cristo in terra.
Il discorso di Giovanni Paolo II prosegue mescolando i piani di Dio con l’amore dovuto dalla Chiesa a tutti gli uomini. Ma certo che Dio comanda ai suoi seguaci di amare tutti gli uomini; però non comanda affatto di amare le false religioni, le quali non fanno parte del Suo piano, semmai lo ostacolano. Nel Vangelo è scritto che Gesù, durante la Sua missione terrena, ha ordinato ai Suoi Apostoli (Mt 10,5-7): Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino; e che, dopo la Resurrezione e prima dell’Ascensione, ha dato loro questo mandato definitivo (Mt 16, 15-16): Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. Sono parole abbastanza chiare, o no? «Non andate fra i pagani; predicate il Vangelo a tutte le creature»: c’è ancora qualcosa da aggiungere?
Ecco spiegato il fastidio, anzi il furore, dei seguaci della nuova religione del Concilio Vaticano II contro i Vangeli. Quando il generale dei gesuiti, Sosa Abascal, se ne viene fuori a dire che non si cosa disse esattamente Gesù Cristo; che a quel tempo non c’erano dei registratori, che ne abbiano riportato fedelmente le parole; e che in ogni caso Gesù parlava sempre a un uditorio preciso, in un contesto preciso, e dunque non in senso categorico e assoluto (come per l’indissolubilità del matrimonio, da lui bellamente negata), è questo fastidio che emerge chiaramente: perché i Vangeli hanno il “torto” di parlare troppo chiaro e di non prestarsi alle strumentalizzazioni conciliari e post-conciliari, in particolare alla raccomandazione di rispettare le false religioni (chiamate pudicamente, e relativisticamente, religioni non cristiane): Nostra Aetate, 28 ottobre 1965, approvata con 2.041 voti favorevoli, 88 contrari e 3 nulli, all’affermazione della falsa libertà religiosa: Dignitatis Humanae, 7 dicembre 1965, approvata con 2.038 sì e 70 no. Due documenti che segnano la rottura irreversibile con il magistero di sempre, e dei quali Giovanni XXIII, che volle il Concilio e lo volle in quel modo, accettando il rifiuto - rivoluzionario - degli schemi preparatori, porta la responsabilità morale e indiretta, e Paolo VI, che li controfirmò, li approvò e li promulgò, porta la responsabilità materiale, piena e diretta.
La successiva tiritera di Giovanni Paolo II sull’amore di Dio che si estende a tutti gli uomini è un pessimo esempio di manipolazione della vera dottrina e del magistero perenne, perché da tale premessa non deriva affatto la conseguenza della bontà e necessità del legame esistente tra le culture e le religioni professate dagli uomini. Qui si mescolano, non troppo in buona fede, religioni e culture, che son cose diverse; e come per magia si fa saltar fuori dal cappello del prestigiatore un non meglio specificato dovere di rispettare “le religioni”, il che è un’assurdità bella e buona, perché le religioni, al plurale, non possono essere tutte vere, né buone, poiché una sola, evidentemente, racchiude la verità insegnata da Gesù e incarnata in Lui, allorché Egli disse: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,6). Non disse: «Io e Confucio siamo via, verità e vita; Io e Buddha; Io e Socrate, o Pitagora, o qualcun altro». E di questo almeno siamo certi, anche se non c’erano i registratori a catturare la Sua voce.
Quanto al brano relativo alla missione di San Francesco in Egitto, è roba da far venire i capelli ritti a tutti quei “cattolici” che non hanno trovato niente da ridire né sulle giornate di preghiera interreligiosa di Assisi, né sul documento di Abu Dhabi, né sui convegni interreligiosi (e demoniaci) di Astana.
San Francesco, la cui figura è stata indegnamente strumentalizzata dai cattolici rivoluzionari e modernisti, era andato in Egitto per convertire il Saladino o per farsi martirizzare: di certo non per dialogare con i sacerdoti di una falsa religione: più chiaro di così.
Se poi a qualcuno la verità dà fastidio, libero di regolarsi diversamente.
Dovrebbe, però, avere l’onestà e la decenza di dire a nome di chi sta parlando; che cosa si propone di fare; dove intende portare la Chiesa fondata da Gesù Cristo.