Gli effetti babelici dell’ideologia ONU
Aug 25, 2023Il prossimo mese di settembre si preannuncia movimentato e foriero di conseguenze che potrebbero rivelarsi assai pericolose. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite si sta infatti preparando ad adottare una dichiarazione politica sulla copertura sanitaria universale.
Diversi analisti e organizzazioni internazionali intravedono in tale passaggio un’occasione utile per inserire l’aborto tra i servizi sanitari ritenuti “necessari ed essenziali”. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, del resto, sarebbe il palcoscenico adatto per dare seguito a quanto convenuto al Vertice del G7 di Tokio dello scorso maggio.
Nel comunicato conclusivo dei “leaders of the Group of Seven (G7)” un apposito paragrafo è dedicato al tema del gender ed alla promozione dei diritti della comunità LGBTQ. Ma è in quello concernente la salute che si trova l’impegno a “promuovere ulteriormente la salute e i diritti riproduttivi completi, compresa la salute materna, neonatale, infantile e adolescenziale, specialmente in circostanze vulnerabili”.
La definizione di “diritti riproduttivi” la fornisce l’Organizzazione mondiale della sanità, la quale fa coincidere quest’ultimi con quelli che si fondano sul “riconoscimento del diritto fondamentale […] a decidere liberamente e responsabilmente il numero, la separazione e la sincronizzazione temporale di nascita dei loro figli […]. Essi comprendono anche il diritto di tutti di prendere decisioni in materia di riproduzione senza discriminazione, coercizione e/o violenza”.
Eppure, in questo passaggio, così come in quello precedente, sembra non essere inclusa la salute della creatura in gestazione nel ventre materno. Ed è evidente, giacché il diritto alla “libera decisione” delle persone e delle coppie, secondo l’organizzazione internazionale, deve essere completo o quasi. Ad ogni modo, sembra non tenere in alcun conto della salute della creatura nel periodo pre-natale.
Si assiste in tal modo ad uno svilimento della nozione stessa di “responsabilità” che contrasta con la natura umana e, dunque, con i principi giuridici ad essa connessi. La responsabilità autentica si fonda infatti sul libero giudizio della coscienza (adeguatamente formata) e sulla capacità ad essere esente da condizionamenti esterni che limitino tale facoltà di scelta; in altre parole, sulla capacità della persona ad essere libera da fattori che riducano o rendano impossibile la padronanza di sé. L’intelletto ha necessità, prima di ogni altro aspetto, di operare un giudizio in cui venga decifrata la qualità morale dell’atto posto in essere o di quello che sta per compiere.
Ebbene, omettere di riconoscere che l’aborto pone termine bruscamente ad un processo che attraversa vari stadi di sviluppo (empiricamente verificabili), o ancor peggio, invocare un diritto affinché l’interruzione volontaria di gravidanza venga garantita per legge “equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 20).
Il cammino verso l’edificazione di una comunità dei popoli degna di tal nome passa dal riconoscimento dell’ordine naturale, ricordava nel 1953 papa Pio XII, in un discorso rivolto ai Giuristi cattolici italiani, ancor oggi assai attuale. Soltanto il riferimento ad un principio universalmente valido e riconoscibile, infatti, può rappresentare una garanzia efficace di convivenza. In caso contrario, saranno i furori ideologici del momento a condizionare arbitrariamente le stesse nozioni di bene e di male, rischiando di ledere gravemente la dignità umana.