Il "Ripristino della natura" è innaturale per l'uomo
Jul 21, 2023I paesaggi della nostra bella Italia sono in gran parte artificiali, come ci ricorda Giacomo Leopardi: “una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura" (L’elogio degli uccelli delle Operette morali).
Lo stesso Leopardi evidenzia il carattere non sempre benigno della Natura non ingentilita dall’azione dell’uomo: “Islandese: Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa. Natura: Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono quella che tu fuggi.” (Dialogo della Natura e di un Islandese delle Operette morali).
Penso che queste riflessioni del genio recanatese siano di grandissima attualità e dovrebbero indurci, prima di tutto, a riflettere sulla ragionevolezza di normative per il ripristino della Natura in un ambito ad antropizzazione molto antica come quello europeo, nel quale le tracce dell’azione dei nostri progenitori risalgono addirittura al paleolitico. Secondo: a domandarci quanti dei nostri paesaggi sopravviverebbero ad un’opera radicale di ripristino della Natura: non certo i paesaggi padani che l’uomo ha creato in migliaia di anni di fatiche sottraendo il territorio alla palude e neppure gli arditi terrazzamenti vitati della Valtellina o delle Cinque Terre e nemmeno l’orticoltura della piana del Fucino, frutto di un’importante opera di bonifica ottocentesca e neppure i paesaggi dei Paesi Bassi, frutto di imponenti opere di bonifica condotte nel medioevo.
I buoni propositi del nuovo Regolamento sul ripristino della Natura
Il ripristino della Natura è l’obiettivo che si propone il nuovo Regolamento sul ripristino della Natura, il cui testo è reperibile qui. Il Regolamento è stato predisposto dalla DG Ambiente della Commissione Europea e presentato al Parlamento Europeo, che l’ha approvato il 12 luglio scorso a strettissima maggioranza, fatto questo che assume un importante significato politico in vista delle elezioni europee del 2024, in quanto evidenzia il logoramento della “maggioranza Ursula”, frutto della convergenza di Socialisti e Popolari e che governa l’Europa nella presente legislatura. A votare a favore del provvedimento sono stati i Socialisti, che da soli non avrebbero avuto la maggioranza, e una pattuglia di “Popolari responsabili”, che votando contro le indicazioni del proprio gruppo ha dato un contributo decisivo all’approvazione.
Il nuovo Regolamento è ritenuto dai proponenti un elemento chiave della strategia dell'UE sulla biodiversità, in quanto la natura in Europa sarebbe in allarmante declino, con l'81% degli habitat in cattive condizioni. Per rimediare a ciò le misure di ripristino della natura dovranno interessare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell'UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. I paesi dell'UE dovranno presentare alla Commissione i piani nazionali di ripristino della Natura entro due anni dall'entrata in vigore del regolamento, indicando le modalità di raggiungimento degli obiettivi. I Paesi stessi sono inoltre tenuti a monitorare e riferire sui loro progressi. L'Agenzia europea dell'ambiente elaborerà relazioni tecniche periodiche sui progressi compiuti e la Commissione, a sua volta, riferirà al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione della legge di ripristino della Natura.
A parere dei proponenti, il ripristino delle zone umide, dei fiumi, delle foreste, delle aree agricole, delle praterie e degli ecosistemi marini aiuterà ad aumentare la biodiversità, proteggendo così quanto la natura elargisce generosamente ripulendo l’acqua e l’aria, impollinando le colture, proteggendoci dalle inondazioni e dagli altri disastri naturali, limitando il riscaldamento globale, contribuendo alla resilienza e all'autonomia strategica dell'Europa e riducendo i rischi per la sicurezza alimentare. Siamo insomma di fronte a una visione iper-ottimistica che è espressione di un’avversione ideologica verso la “gestione delle risorse naturali da parte di noi umani, gestione cui ci indirizza la storia stessa dell’umanità dal giorno in cui, un milione di anni orsono, un nostro lontano progenitore, l’Homo habilis, iniziò a fare uso del fuoco, facendo dell’uomo l’unica specie che ricava energia da fonti non metaboliche e perciò la più “innaturale” forma di vita presente sul pianeta.
Critiche generali al regolamento
Occorre anzitutto domandarsi che peso avrà la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, prevista dal nuovo regolamento, sulla vita di comunità che da secoli si difendono dalle piene con dighe, arginature, interventi di gestione degli alvei e vasche di laminazione, la cui importanza è emersa in occasione della rovinosa alluvione della Romagna. Nella prospettiva di rinaturalizzazione occorre chiedersi che destino sarà riservato alle dighe esistenti e a quelle in progetto, importanti non solo per laminare le piene evitandone gli effetti più dirompenti ma anche per garantire risorse idriche per gli usi civili, industriali e agricoli o ancora per stoccare l’energia prodotta da fonti rinnovabili discontinue (solare ed eolico).
Nell’allegato 16 al regolamento si elencano vari esempi di pratiche di ripristino della Natura. Fra questi rientra il ripristino delle zone paludose e la pratica della paludicoltura. Tutto ciò senza tener conto che le paludi in Italia e nel resto d’Europa sono state bonificate nei secoli non solo per motivi di produzione agricola, ma anche per scopi sanitari (necessità di contrastare la malaria). Al riguardo ricordo ad esempio che Goteborg in Svezia fu zona malarica fino al XIX Secolo e che fino agli anni ’50 del XX Secolo la malaria ha colpito le aree paludose del Lazio, della Sardegna e di varie altre zone d’Italia. Ma, certo, anche le zanzare anofele sono Natura da salvaguardare…
Cosa significherà poi il ripristino della Natura per gli 11,5 milioni di ettari di bosco oggi presenti in Italia (erano 5,4 milioni nel 1910) e che per la gran parte non sono naturali, essendo in parte il risultato dell’azione millenaria dell’uomo che li ha tradizionalmente gestiti a ceduo e in parte il frutto dell’abbandono delle aree agricole di montagna? La gestione carente (in termini ad esempio di tagli periodici, sistemazioni idraulico-forestali e controllo dell’espansione del bosco verso le zone vicine agli insediamenti umani) stanno dando una grossa mano agli incendi boschivi e al dissesto idrogeologico. Mi domando allora se tali attività di gestione, oggi più che mai necessarie, saranno ritenute compatibili con il ripristino della Natura.
1. Continua