"La 194 non si tocca"? Quei cattolici così relativisti
Apr 12, 2023"Nessuno ha intenzione di rimettere in discussione la 194”. Frase che è la tipica espressione del pensiero abortista, non di quello pro-life. Frase pronunciata dal presidente della Cei il cardinale Matteo Zuppi in occasione del festival del quotidiano Domani (la frase è individuabile a 3 ore, 44’, 40’’ di questo video). Non si deve mettere in discussione la 194 perché, secondo il porporato, “è una traduzione laica importante”. Traduzione laica di cosa? Zuppi non l’ha detto, ma forse voleva intendere una traduzione laica del principio di tutela della vita proposta dal Magistero cattolico? Visto il clima di assurdità ecclesiale in cui siamo immersi, tutte le interpretazioni, anche questa così blasfema, sono possibili.
Ingraniamo la retromarcia. All’indomani della vittoria referendaria sulla legge 40, il predecessore di Zuppi, il cardinal Camillo Ruini, così si espresse in TV sulla legge 194 in quel lontano giugno del 2005: «Non so chi si è inventato la piccola favola del nostro attuale o programmato intervento contro la legge 194. Noi siamo contro l’aborto, ma non vogliamo modificare la legge. Auspicheremmo soltanto che nell’applicazione della legge si tenga conto il più possibile dell’importanza di favorire la vita». Si vede che per essere presidente della Cei bisogna giurare fedeltà alla 194.
Tralasciamo l’impasse logico secondo il quale si può essere contro l’aborto ma non contro una norma che legittima l’aborto e, con un altro salto temporale, veniamo invece alle parole di Benedetto XVI che rivolse nel maggio del 2008 ai membri del Movimento per la Vita: “L’aver permesso di ricorrere all’interruzione della gravidanza, non solo non ha risolto i problemi che affliggono molte donne e non pochi nuclei familiari, ma ha aperto una ulteriore ferita nelle nostre società, già purtroppo gravate da profonde sofferenze”.
Altro viaggio nel tempo e finiamo nel 1995. Giovanni Paolo II, nell’Evangelium vitae scrisse che la pubblica autorità “non può mai accettare […] di legittimare, come diritto dei singoli […] l'offesa inferta ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello alla vita. […] Così le leggi che, con l'aborto e l'eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini. […] Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. […] L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza. […] Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, ‘né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto’” (nn. 71-73). Esattamente il contrario di quanto hanno affermato Zuppi e Ruini.
Perché Zuppi e Ruini affermano che non bisogna toccare la 194? Perché la prospettiva di giudizio non attiene più alla fede e alla morale naturale, ma attiene all’ambito politico. Andrebbe anche bene, anzi benissimo, riferirsi a criteri di giudizio politici, se la politica a cui ci si rifacesse fosse quella attenta al bene comune, alla giustizia naturale. Ma la politica di Zuppi e Ruini interessa non la giustizia naturale, bensì la giustizia sociale. E così il presidente della Cei usa lo stesso metro di giudizio sull’aborto di quello del presidente del governo e del ministro della famiglia, anche loro favorevoli a non torcere un capello alla 194. La grammatica è la medesima.
La prospettiva della giustizia sociale interpreta il fenomeno dell’aborto nel modo seguente. In primis è un male ineliminabile (bella scoperta: l’assassinio c’è dai tempi di Caino e ci sarà sempre) ed è un male privo di colpevole personale, ma non di colpevole sociale, collettivo. Siamo tutti noi, la società, che spingono le donne ad abortire perché non c’è lavoro, perché la donne sono discriminate, sono lasciate sole, ecc... Ora, se non c’è un colpevole sarebbe assurdo vietare l’aborto e ancor di più sanzionarlo. L’aborto quindi non è colpa di nessuno, è come un virus che miete vittime. Per i cattolici adulti sono due le vittime: la donna e poi, molto poi, il bambino. Per i laicisti, solo la donna. La legge quindi diventa strumento necessario e importante per fronteggiare e curare questo male sociale, ma non certo male morale dato che nessuno è responsabile dell’aborto.
L’approccio politico dei “cattolici” a favore dell’aborto poi si articola secondo questo ragionamento ben espresso sempre in Evangelium vitae: lo Stato deve fare un passo indietro rispetto alle scelte personali. Si entra nel sacrario della coscienza ed è difficile se non impossibile mettersi nei panni degli altri. Siamo nel pieno della casuistica così in voga oggi nella teologia. La legge dunque non serve per giudicare, ma per aiutare, confortare, accompagnare, offrire soluzioni alternative all’aborto: da qui i continui appelli ad applicare integralmente la 194. Una sorta di pastorale legale, giuridica, potremmo dire.
Altro punto proprio dell’approccio politico, inteso sempre in senso deteriore: criticare la 194 porterebbe ad uno scontro sociale, ad una frattura nel tessuto civile. Prima di tutto, invece, dobbiamo perseguire la pace sociale. La legge suprema della Chiesa non è più salus animarum, ma salus civitatis (in realtà le due cose sono legate necessariamente), se non salus 8xmille. Perché, ci si perdoni la malizia, sorge anche il sospetto che certe leggi non vengano mai criticate dalla Chiesa italiana perché lo Stato tiene in ostaggio il preziosissimo 8Xmille.
Un altro tassello dell’esegesi politica della 194: la società attuale italiana non è pronta per rigettare culturalmente l’aborto (vero), dunque non esigiamo l’impossibile (falso, perché, anche nel caso in cui Tizio non comprendesse che l’aborto è un omicidio, sarebbe doveroso vietarlo comunque. Molti pensano che non pagare le imposte sia giusto, ma lo Stato li sanziona ugualmente se non le versano). D’altronde, così si prosegue nel ragionamento, essere contro l’aborto è ormai un principio proprio solo dei credenti: non si può dunque esigere da una società laica e pluralista il rispetto di un valore religioso condiviso da pochi.
Infine, sullo sfondo, troviamo questo principio implicito d’impronta hegeliana: la 194 è legge dello Stato e lo Stato è l’ente morale per eccellenza, più importante dell’autorità della Chiesa e di certo più importante della quasi fantomatica legge naturale (è noto ormai che molti uomini di Chiesa citano più la Costituzione che il Decalogo). La Chiesa è il campo dell’astrazione, dei principi, delle riflessioni anche alte, ma poi la realtà è altra ed è compito dello Stato governare tale realtà, anche ricorrendo al compromesso, e lo fa impegnando tutta l’autorità morale di cui è capace che proviene dai cittadini, dal consesso sociale, dal basso: dinamica questa che, tra l’altro, si sposa benissimo con l’attuale natura sinodale della Chiesa che ha scalzato quella di origine divina di carattere gerarchico.
Quale il fil rouge che lega tutte queste componenti dell’approccio politico alla 194? Risponde ancora una volta Giovanni Paolo II. “Comune radice di tutte queste tendenze è il relativismo etico” (70). Chi in casa cattolica difende la 194 è in definitiva un relativista e quindi non è cattolico.