La codardia di Pilato e la condanna di Gesù
Mar 27, 2023Pubblichiamo di seguito il sesto testo (qui il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto) tratto dal Commentario di padre Cornelio a Lapide (1567-1637) incentrato sulla Passione secondo il Vangelo di San Matteo. I commentari del gesuita ed esegeta Cornelio a Lapide, diretti soprattutto a offrire un aiuto ai predicatori, sono preziosi anche perché contengono numerose citazioni dei Padri della Chiesa e di altri esegeti successivi.
Traduzione in italiano a cura di padre Konrad zu Löwenstein.
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Pilato disse loro: Che farò allora di Gesù chiamato il Cristo? Tutti gli risposero: Sia crocifisso (Mt 27,22). «Pilato - dice S. Giovanni Crisostomo - pone la cosa nelle loro mani, affinché tutti possano essere ascritti alla loro clemenza, così da trascinarli e ammorbidirli con la sua ossequiosità, ma tutto invano. Perché i sommi sacerdoti avevano già deciso di insistere sulla crocifissione, in quanto non solo la più crudele, ma anche la più ignominiosa delle morti, la morte di ladri e altri malfattori. Perché speravano in questo modo di distruggere tutto il suo precedente credito e reputazione». Così dice S. Crisostomo: «Temendo che la sua memoria potesse essere tenuta a mente, hanno scelto questa morte vergognosa, non sapendo che la verità, quando ostacolata, è più pienamente manifestata».
Il governatore disse: Perché, che male ha fatto? Ma gridarono di più (con veemenza, περισσω̃ς), dicendo: Sia crocifisso (Mt 27,23). Più Pilato insisteva sulla Sua innocenza [di Gesù], più chiedevano a gran voce la Sua crocifissione, «non mettendo da parte la loro rabbia, odio e bestemmia, ma addirittura aggiungendovi qualcosa» (Origene). Hanno così adempiuto la profezia di Geremia [12,8]: «La mia eredità (la sinagoga) è divenuta per me come un leone nella foresta; ha mandato contro di me il suo ruggito»; e Davide (Sal 22,13): «Hanno aperto la bocca contro di Me, come un leone rapace e ruggente»; e Isaia [cfr. 5, 7]: «Ho aspettato il giudizio, ed ecco l’iniquità; e la giustizia, ed ecco un grido» (Così S. Girolamo).
Quando Pilato vide che non poteva ottenere nulla, ma piuttosto si faceva un tumulto, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla moltitudine (Mt 27,24). α̉πενίψατο, spazzato via. «Ha adottato - dice Origene - l’usanza ebraica, e li ha voluti calmare, non solo con le parole, ma anche con i fatti». Si lavò le mani, ma non la coscienza. Ma questo è avvenuto dopo la flagellazione e l’incoronazione di Cristo (vedi S. Giovanni). Ecco una trasposizione.
Dicendo, sono innocente (ibidem). Lo condanno contro la mia volontà. Siete voi i trasgressori. Sei colpevole della Sua morte. Quanto è stato stolto questo governatore timido, senza cuore e indolente nel parlare così! Perché non ti opponi all’ingiustizia del popolo? «Non cercare di essere giudice, se non puoi con il tuo potere infrangere le iniquità». Un’altra volta hai liberato i soldati e la folla ribelle (Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica 18,4); perché non agisci così fermamente ora? Se non puoi per la furia dei giudei liberarLo ora, almeno rimanda la tua sentenza finché la loro furia non si plachi.
S. Giovanni Crisostomo (in Luca 23,22) dice: «Anche se si è lavato le mani e ha detto che era innocente, tuttavia il suo permesso era un segno di debolezza e codardia. Perché non avrebbe mai dovuto abbandonarLo, ma piuttosto salvarLo, come il centurione con S. Paolo» (cfr. Atti 21,33). Sant’Agostino in modo più forte (Serm. 118, De Temp.): «Sebbene Pilato si lavasse le mani, tuttavia non lavò via la sua colpa; perché, sebbene pensasse di lavare via il Sangue di quel Giusto dalle sue membra, tuttavia la sua mente era ancora macchiata da esso. Fu lui, infatti, che uccise Cristo, consegnandoLo all’uccisione. Perché un giudice fermo e buono non dovrebbe condannare il sangue innocente, né per paura né per rischio di essere impopolare». E S. Leone (Serm. 8, De Pass.) disse: «Pilato non sfuggì alla colpa, perché schierandosi con la turbolenta folla divenne socio di altri colpevoli».
Allora tutto il popolo rispose: Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli (Mt 27,25). Lascia che la colpa che temi sia trasferita da te a noi. Se c’è qualche colpa, possiamo noi e la nostra posterità espiarla. Ma non riconosciamo alcuna colpa e, di conseguenza, non temendo alcuna punizione, la chiamiamo audacemente su noi stessi. E così hanno sottoposto non solo loro stessi, ma i loro discendenti, al dispiacere di Dio. Lo sentono davvero anche oggi nella sua piena forza, nell’essere sparsi per tutto il mondo, senza una città, o un tempio, o un sacrificio, o un sacerdote, o un principe, ed essere una razza soggetta in tutti i paesi. Fu anche come punizione per la crocifissione di Cristo che Tito ordinò di crocifiggere cinquecento ebrei ogni giorno durante l’assedio di Gerusalemme, mentre si accalcavano fuori dalla città in cerca di cibo, «così che finalmente non c’era spazio per le croci, e nessuna croce per i corpi» (Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica 6,12). «Questa maledizione - dice Girolamo - riposa su di loro fino ad oggi, e il sangue del Signore non è stato tolto loro», come aveva predetto Daniele (9,27)