La "Medicina unica" muove guerra ai medici obiettori
Aug 18, 2023Il pensiero unico obbliga alla medicina unica. Ossia il mainstream non può che diffondersi capillarmente nella società e dunque anche in ambito scientifico e clinico. Prova ne è l’ultima revisione del Codice Internazionale di Etica Medica della World Medical Association (WMA). In questo Codice, le cui disposizioni sono virtualmente rivolte ai medici di tutto il mondo, l’obiezione di coscienza viene messa all’angolo per privilegiare sempre e comunque i desiderata del paziente.
Al paragrafo 2 infatti possiamo leggere: «Il medico deve esercitare la medicina in modo leale ed equo e fornire cure basate sulle esigenze della salute del paziente senza pregiudizi o discriminazioni ingiuste basate su età, malattia o disabilità, credo, origine etnica, genere, origine nazionale, appartenenza politica, razza, cultura, sesso orientamento, posizione sociale o qualsiasi altro fattore». Tradotto: se tu medico ti rifiuti di praticare un aborto, potresti essere accusato di discriminare la donna per motivi connessi alla sua “malattia” e per motivi culturali. Se dici “No” ad un’operazione di rettificazione sessuale su una persona che vuole diventare transessuale, potresti nutrire un pregiudizio sulle persone transessuali. Se tu psicologo o psichiatra stai seguendo una persona omosessuale e vorresti instradarla, anche con il suo consenso, a ritrovare la sua eterosessualità latitante, potresti avere un atteggiamento pregiudizievole verso l’omosessualità. Se ti rifiuti di seguire una coppia lungo il percorso della fecondazione artificiale o di staccare la spina al paziente malato oncologico, potresti essere tacciato di discriminazione verso costoro per motivi culturali.
Questo criterio generale enunciato dal paragrafo 2, volto a limitare la libertà professionale del medico, viene poi precisato, a scanso di equivoci, al paragrafo 29: «L'obiezione di coscienza del medico alla prestazione di ogni lecito intervento medico può essere esercitata solo se il singolo paziente non subisce danno o discriminazione e se la salute del paziente non è in pericolo». Anche in questo caso traduciamo nel concreto queste prescrizioni. Aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, rettificazione sessuale, etc. sono interventi considerati legittimi in molti Paesi. Il medico può obiettare se l’ordinamento giuridico della nazione entro cui opera glielo permette e se il paziente non subisce danno, se costui non corre nessun pericolo per la sua salute o se non finisce per essere discriminato dalla scelta dell’obiettore. In merito al requisito della discriminazione ci siamo già soffermati in precedenza, in merito al danno e al pericolo per la salute del paziente, questi due criteri potrebbero avere qualsiasi natura: psicologica, sociale, economica. E così un medico che si rifiutasse di compiere un aborto potrebbe ledere la salute psicologica della donna che si sentirebbe colpevolizzata dal rifiuto del medico. Parimenti il medico che non indicasse la strada della provetta per avere un bambino potrebbe recare un danno economico alla coppia, la quale si era rivolta a lui, pagandolo, per avere dei suggerimenti su come superare i problemi di fertilità della stessa.
Non solo quindi l’obiezione di coscienza è praticamente non fruibile secondo il Codice, ma, laddove comunque si riuscisse ad obiettare, ecco che la WMA obbliga il medico ad indicare un collega disposto a fare quello che lui si rifiutava di fare. Ed infatti il medico «deve fornire informazioni sufficienti per consentire al paziente di avviare tale consultazione [con il collega] in modo tempestivo». Dunque il medico alla donna che vuole abortire dovrebbe dire: mi rifiuto di uccidere il bambino che ha nel ventre, ma le consiglio un mio collega che può farlo. Sarebbe perciò obbligato ad un atto collaborativo all’aborto. Ma l’obiezione di coscienza, se rettamente intesa, esige l’astensione non solo degli atti moralmente illeciti, ma anche di quelli collaborativi agli stessi. Sbagliato commettere un assassinio ed anche fornire il nome di un killer.
Il cardine valoriale di questo codice alla fine è il principio di autonomia del paziente. L’agire secondo scienza e coscienza viene messo all’angolo da tale principio, come ben illustrato dal paragrafo 1: «Nel fornire cure mediche, il medico deve rispettare la vita e la dignità umana, l'autonomia e i diritti del paziente». Frase che suona bene, ma che nel concreto significa che il medico deve fare ciò che vuole il paziente, altrimenti lo lede nella sua dignità, nella sua autonomia e nei suoi diritti.
L’orientamento autonomistico di questi principi generali poi trova conferma in alcuni paragrafi che seguono. Ad esempio il paragrafo 15 così dispone: «Il medico deve rispettare la decisione del paziente di mantenere o revocare il consenso in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo». Oltre a legittimare il suicidio tramite il rifiuto di terapie salvavita ancora da avviare, questo paragrafo legittima e obbliga il medico all’omicidio del consenziente laddove impone di interrompere terapie salvavita già avviate. Infatti in questa disposizione sono da ricomprendere tutti quegli interventi medici necessari per interrompere alcune cure come la Peg o la ventilazione assistita. L’opzione preferenziale del Codice per l’eutanasia è poi evidente quando impone al medico di sottostare alle volontà del fiduciario qualora il paziente non sia capace di intendere e volere, volontà che dovrebbero rispecchiare le «decisioni basate sulle preferenze del paziente, quando queste sono note o possono essere ragionevolmente dedotte» (paragrafo 16). La figura del fiduciario è nata con la Dichiarazioni anticipate di trattamento, strumento forgiato nell’ambito culturale favorevole all’eutanasia. Il rimando poi ad una procedura deduttiva per capire i desiderata del paziente è anch’essa una procedura nata all’interno dell’orientamento culturale pro-eutanasia (così argomentarono ad esempio i giudici nostrani per spegnere la vita di Eluana Englaro).