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Perché il mondo moderno è diventato ateo?

francesco lamendola Mar 22, 2023

Perché il mondo moderno è diventato ateo? Ancora al tempo dei nostri nonni non lo era affatto; la religione, almeno in apparenza, occupava ancora un posto importantissimo nella vita delle persone e delle famiglie; il clero era rispettato, la Chiesa era autorevole; lo Stato le riconosceva un ruolo fondamentale e le leggi, pur essendo ispirate a un’idea laica della giustizia, non contrastavano apertamente con la morale cristiana, come poi è accaduto con il divorzio, l’aborto volontario, l’eutanasia, l’espianto e il commercio degli organi. Che cosa è dunque successo? Come è potuto accadere un tale rovesciamento nel giro di un paio di generazioni?

La prima osservazione da fare è che a diventare ateo non è stato il mondo, ma solo il mondo occidentale (o che con tale nome, benché improprio, viene generalmente designato): l’Europa e i Paesi colonizzati e popolati dagli europei (il Mondo Nuovo, l’America, e quello Nuovissimo, cioè Australia e Nuova Zelanda). Presso gli altri popoli e le altre culture non si osserva niente del genere. L’Islam, in particolare, sembra godere di ottima salute ed è tuttora in fase espansiva: in Paesi africani come la Nigeria, o in Paesi asiatici come il Libano, ha guadagnato posizioni fino a sfiorare o diventare maggioranza; nella stessa Europa, in Russia e negli altri Stati ex comunisti, si assiste ad una vigorosa rinascita del sentimento e della pratica religiosa, prevalentemente nella confessione ortodossa.

E allora? Come è accaduto che il nostro mondo è diventato ateo, in un tempo che, sul metro dei fenomeni storici, è stato eccezionalmente breve? Poiché la cosa è avvenuta sotto i nostri occhi, non ce ne siamo quasi accorti: da bambini siamo stati educati nella fede in Dio ed essa ci ha accompagnato fino alla Prima Comunione alla Cresima. Poi sono passati gli anni, è scorsa la nostra vita, ci siamo sposati (o no), abbiamo creato delle famiglie, abbiamo cresciuto dei figli – e li abbiamo cresciuti senza Dio; la nostra stessa vita, nei momenti più importanti e nelle scelte decisive, si è svolta lontano da Dio. Ora ci guardiamo intorno e non troviamo più le tracce della fede dei nostri padri e della fede di noi bambini. Ci sono ancora le chiese, un certo numero di persone frequenta ancora la Messa (una Messa ben diversa da quella di allora) ma la fede in Dio non si trova neppure lì, non la si vede, non la si respira. Ci sono dei preti – sempre di meno - che parlano di mille cose, ma la più importante non c’è, non la dicono, non la fanno vedere per la buona ragione che non la possiedono: non c’è la fede, né nei loro discorsi, né soprattutto nei loro gesti e nei loro comportamenti. Oh, dicono tante cose e fanno tanti bei discorsi: l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, l’accoglienza, l’inclusione e la misericordia. Ma poi mettono un cartello sulla porta della chiesa e invitano i non inoculati a restarsene fuori; e i loro vescovi li cacciano o proibiscono loro di celebrare il Sacrificio eucaristico (che essi non chiamano più così, per compiacere i fratelli separati protestanti) se, a loro volta, non si sono sottoposti al macabro rito dell’inoculazione del sacro siero, veicolo della nuova salvezza. Non più una Salvezza soprannaturale, ma esclusivamente terrena; una salvezza incerta e relativa, tutta da verificare, che non ha nulla a che fare con l’anima e la vita eterna.

Bel risultato davvero, bella fede: se tale era l’obiettivo della rivoluzione conciliare, i suoi autori possono andarne fieri. Se volevano allontanare i credenti da Dio e far perdere loro la fede, ma in maniera così abile e sottile che non se ne accorgessero neppure, ci sono riusciti in pieno. Complimenti, sono stati bravissimi. Come ha osservato qualcuno, è stato il colpo da maestro di Satana: non solo togliere la fede alle persone, ma riuscire a farlo senza che ciò fosse percepito, anzi, facendo sì che i credenti si sentissero più bravi, più maturi, più credenti dei loro avi.

Citiamo la pagina conclusiva del secondo volume, La filosofia moderna, del corso di monsignor Antonio Livi (Prato, 25 agosto 1938-Roma, 2 aprile 2020) La filosofia e la sua storia, Società Editrice Dante Alighieri, 1996, II, pp. 443-444):

Anche se non in modo radicale ed esplicito come sarà nell’Ottocento, la modernità (da intendersi sempre in senso sociologico, cioè come “cultura dominante”) esprime infatti una propensione teoretica all’ateismo, connessa principalmente all’empirismo di stampo materialistico, oppure anche al panteismo, come in Spinoza, o al deismo, come negli illuministi del Settecento. Quest’ultima forma di ateismo larvato si può considerare come il precedente teoretico immediato dell’ateismo esplicito e aggressivo dell’Ottocento (Feuerbach, Marx, Comte), pertanto merita una più attenta considerazione.

Al tempo di quella che Husserl chiamerà «la crisi della scienza europea», mentre sta precipitando definitivamente la civiltà classica, si afferma la volontà di sottoporre alle leggi nuove dell’analisi concettuale i valori tradizionalmente stabiliti. Nel suo “Dictionnaire historique et critique”, pubblicato fra il 1695 e il 1697, Pierre Bayle proclama la necessità, per la ragione, di mettere al bando come falsa ogni presunta Rivelazione; la stessa esistenza di Dio gli appare indimostrabile. Con maggiore umorismo e pari sicurezza, nella sua “Histoire des oracles”, Bayle esclude la possibilità del soprannaturale, fa a pezzi l’idea di Provvidenza e dissocia la morale dalla religione. Attorno allo stesso periodo, si diffondono in tutto l’Occidente le idee esposte da Spinoza nel suo “Tractatus theologico-politicus” (1670); sviluppando nelle loro svariate implicazioni i principi cartesiani, il filosofo ebreo riduce la Sacra Scrittura a un intreccio di leggende grossolane, prende di mira e basi stesse dell’ordine sociale e morale, abbatte qualsiasi barriera tra la “natura naturans”, che è Dio, e la “natura naturata”, cioè il mondo.

Ancora fino a tutto il Seicento, questi attacchi diretti o larvati alla religione rivelata rimanevano delle eccezioni piuttosto rare. Nel Settecento, invece, la preponderanza inglese, contrassegnata dalla vittoria dei “whigs”cioè della principale classe d’affari, determina il trionfo dell’ideologia borghese. Era ormai aperta la strada per il teorico della rivoluzione inglese del 1688: John Locke il quale proclama gli imprescrittibili diritti dell’individuo e stabilisce a fondamento della democrazia il “carattere razionale del cristianesimo”, rendendo inammissibili la Chiesa e la Tradizione. John Toland e Matthew Tindal si spingono più in là: respingendo la nozione di mistero come contrastante con la ragione, escludendo ogni idea di Incarnazione, essi conservano dalla fede solamente la nozione dell’”essere supremo” e quella dell’immortalità, nozioni comuni a tutte le religioni e ormai sufficienti per l’uomo “illuminato”. Al tempo stesso, lo sfruttamento del mondo e la crescita generale delle ricchezze dissipano le inquietudini di un tempo, lasciando posto alla visione ottimistica della felicità offerta all’interra umanità; la razionalità scientifica attenua il concetto di Provvidenza e gli sostituisce quello di progresso. Al termine di questa evoluzione, la Rivelazione cristiana mantiene la sua facciata sociale, svuotata però della propria sostanza: essa si riduce a una serie di miti più o meno simbolici; la Chiesa rimane in piedi, ma solo per fornire alle masse una certa educazione morale e civica.

È dunque la filosofia britannica di stampo empiristico, con Hobbes, Locke e Hume, a gettare le basi di una ideologia capace di teorizzare la lotta contro il cattolicesimo, considerato il principale nemico della libertà, non solo intellettuale ma anche civile e politica; e difatti, fu proprio la Gran Bretagna la nazione dove la Chiesa cattolica fu perseguitata o almeno combattuta dal potere civile (legato istituzionalmente alla Chiesa scismatica anglicana) per tutta l’epoca moderna, molto prima che qualcosa di analogo succedesse in Francia con la rivoluzione del 1789. Dall’empirismo, l’ostilità nei confronti della religione cattolica passò poi al deismo, che ben presto divenne l’ideologia tipica della borghesia in Gran Bretagna, confondendosi con il programma stesso della Massoneria, apparentemente fedele agli ideali di una religione naturale di tipo esoterico ma in realtà sempre più incline all’ateismo pratico. Dalla Gran Bretagna, dove si era registrato il massimo sviluppo sociale e politico della borghesia, il deismo passò in Francia e si diffuse in tutto il continente (Germania, Italia). L’opera di Montesquieu resta estranea agli attacchi contro ol cristianesimo, ma vi aleggia un’arrogante indifferenza nei confronti del fenomeno religioso. Voltaire si spinge ben più oltre, facendo della guerra contro il cattolicesimo l’obiettivo di tutte le sue opere; la sua formula «Écrasez l’infâme!» (= «Distruggete l’infame!»), tante volte ripetuta come appello a una rivoluzione anticlinale, prende di mira lo stesso Gesù Cristo, oltre che il Papa.

È una pagina di una chiarezza esemplare, fin dalle prime righe (la modernità  esprime una propensione teoretica all’ateismo), che fa contrasto con le formule concettose e involute grazie alle quali la cultura dominante odierna fa di tutto per stemperare il carattere essenziale irreligioso, anticristiano e anticattolico della modernità, magari per non spiacere agli uomini potenti di quella massoneria che Antonio Livi, caso pressoché unico nel panorama storico-filosofico, non si perita di chiamare in causa, mettendo in evidenza la sostanziale coincidenza fra il programma politico delle logge e quello speculativo dei filosofi illuministi, specialmente degli empiristi inglesi e poi, a seguire, dei loro emuli francesi, tedeschi e italiani. Grazie al Cielo, finalmente un filosofo che parla chiaro e dice pane al pane e vino al vino!

Molto precisa è anche la ricostruzione dei vari passaggi che videro il pensiero pre-illuminista farsi sempre più accesamente anticattolico (si badi, anticattolico e non antiprotestante): dal Trattato teologico-politico dell’ebreo Baruch Spinoza, del 1670, al Saggio sull’intelletto umano di John Locke, del 1690, e al Dizionario storico-critico di Pierre Bayle, la cui prima edizione in quattro volumi in folio è del 1697, fino al Cristianesimo senza misteri e alle Lettere a Serena di Jon Toland, rispettivamente del 1697 e del 1704, alla “Bibbia del deismo” di Matthew Tindal, Cristianesimo antico come la creazione, del 1730, e soprattutto alla Ricerca sull’intelletto umano di David Hume, del 1748 e al Dizionario filosofico di Voltaire, del 1764: il fenomeno dei “liberi pensatori” (subito riconosciuto e denunciato da George Berkeley), nasce in Francia e in Olanda, si sposta in Inghilterra e poi torna in Francia, di dove, grazie alla Rivoluzione del 1789, s’irradia in tutta Europa e nel resto del mondo.

A livello politico, l’evento decisivo di questa lotta contro il cattolicesimo è dato dalla vittoria del partito dei Whigs in Gran Bretagna (nato nel 1678, e che dal 1859 si chiamerà Partito liberale), guidato da Robert Walpole e da William Pitt il Vecchio: il partito degli affari, della finanza e della politica imperiale, uscito rafforzato dalla Guerra dei Sette Anni e dalla sconfitta della Francia in India e nel Nord America. qQualcosa di paragonabile all’egemonia del Partito democratico negli Stati Uniti di inizio millennio, anche per i suoi risvolti di carattere mondiale, partendo dal centro motore della City, che accompagna la “gloriosa” rivoluzione anticattolica del 1688, la costituzione della Banca centrale d’Inghilterra (1694) e precede di poco l’ascesa della massoneria (nascita ufficiale della Gran Loggia di Londra: 1717). Tutto in una manciata d’anni, nei quali si colloca anche il Trattato sulla tolleranza di John Locke (1689), dove egli esorta i governanti a negare ogni tolleranza verso i cattolici.

Un evento come la nascita, l’affermazione e la diffusione della modernità atea, materialista e nichilista necessita del concorso di svariati fattori: l’empirismo sul piano filosofico, il deismo sul piano spirituale, l’affarismo speculativo (Ezra Pound diceva semplicemente l’usura) su quello economico, e la vittoria dei Whigs su quello politico. Le tre rivoluzioni “atlantiche”, l’inglese del 1688, l’americana del 1775 e la francese del 1789, indi la Rivoluzione industriale, completano il quadro. Si tratta d’un insieme di fenomeni estremamente complesso, che da sempre ci viene presentato come se a produrlo fosse stata un’intima necessità storica, secondo la visione hegeliana e crociana per cui tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale, ripetuta a pappagallo da generazioni di professori e di studenti. Ma ciascuno di tali fenomeni implica una quantità di presupposti logici e materiali, i quali a loro volta ne richiedono altri: e che ciascuno di essi si sia naturalmente innestato sugli altri o accanto agli altri, e che ciascuno abbia spontaneamente concorso a produrre quel tale risultato, laddove la stragrande maggioranza degli europei era ben radicata nella propria tradizione e non desiderava affatto né cambiarla, né tanto meno distruggerla, ebbene credere una cosa simile equivale davvero a credere in quei miracoli soprannaturali che erano il bersaglio preferito di Bayle, Locke e Voltaire. Solo che in questo caso si sarebbe trattato di un miracolo all’incontrario, e non soprannaturale, ma preternaturale (diabolico): strappare un continente alla sua fede religiosa e gettarlo nelle braccia d’un materialismo senz’anima.