Rotschild e finanza: davvero sono solo coincidenze?
Mar 23, 2023Great Reset per un Nuovo Ordine Mondiale: la rete dei Rotschild e l’abile strategia di finanziare entrambe le parti in lotta, così da trovarsi sempre in una posizione vincente di Francesco Lamendola
Nel 1775 le colonie britanniche del Nord America, ad eccezione del Canada, si ribellano alla madrepatria, sotto il patrocinio della massoneria. Il governo inglese pensa di poter reprimere facilmente l’insurrezione, ma comprende l’inopportunità di servirsi di truppe metropolitane, cioè di uomini che parlano la stessa lingua e hanno la stessa cultura del nemico. Meglio assoldare dei mercenari stranieri: non mancano i denari per farlo, né i banchieri ai quali chiedere di anticipare le somme necessarie. E ci sono dei principi tedeschi che navigano in cattive acque finanziarie ma in compenso hanno molti sudditi da vendere come carne da cannone per rimpinguare le loro magre entrate: ad esempio il principe di Assia-Kassel Guglielmo I. L’accordo è presto fatto: il principe trasferisce alla Gran Bretagna alcune migliaia di ottimi soldati, robusti, coraggiosi e bene addestrati, in qualità di truppe mercenarie, e questa se ne servirà per gettarle contro i ribelli americani, verso i quali non provano alcun sentimento di solidarietà perché parlano un’altra lingua e hanno un’altra storia, niente a che fare con le loro radici e le loro tradizioni. La guerra però non andrà nella maniera sperata: la Gran Bretagna dovrà riconoscere l’indipendenza delle 13 colonie e molti mercenari tedeschi moriranno inutilmente, combattendo per una causa che non è la loro. Frattanto il principe Guglielmo I ha messo da parte una grossa somma, che gronda il sangue dei suoi sudditi, versatagli da Londra in compenso dei suoi servigi.
Ma ecco che nel 1792 la Francia rivoluzionaria dichiara guerra a mezza Europa e i suoi eserciti, al rullo dei tamburi e sulle note della Marsigliese, passano il Reno e invadono i principiati tedeschi. Il langravio ha un problema: occultare le sue favolose ricchezze agli invasori, i quali, con l’avvento di Napoleone, si installano saldamente sul suolo tedesco e creano la Confederazione del Reno che è uno Stato satellite della Francia. Per nascondere all’avido imperatore le sue ricchezze, Guglielmo I si rivolge ai suoi fidati amici, i banchieri Rotschild, i quali hanno fatto di Francoforte il loro centro d’azione. Forte del denaro che il principe gli ha affidato in custodia, anzi che gli ha chiesto di reinvestire per sottrarlo alle mire dei francesi, Meyer Amschel Rotschild (1744-1812), instaura proficui commerci con la Gran Bretagna e addirittura spedisce a Londra suo figlio Nathan, che impianta nella capitale britannica una grossa filiale della sua banca. Curiosa situazione: la Francia è in guerra con la Gran Bretagna, ma i Rotschild di Londra, che si finanziano col capitale segreto del langravio d’Assia, diventano i principali fornitori della Gran Bretagna durante il blocco continentale deciso da Napoleone, e realizzano ulteriori, immensi guadagni grazie al contrabbando, poiché molte nazioni si sono sottomesse malvolentieri all’interdizione del commercio con le Isole britanniche voluta dall’imperatore francese.
Frattanto il patriarca Meyer Amschel spedisce a Parigi un altro figlio, Jacob, che diverrà noto col nome di James; e da lì, naturalmente, presta denaro a Napoleone. Ma presta denaro anche all’Inghilterra e precisamente all’esercito inglese che combatte nella Penisola Iberica per scalzare le posizioni francesi: il tutto con una rischiosa triangolazione che consente ai Rotschild di farla proprio sotto il naso dei francesi. Napoleone non sa che nella sua capitale si annida il suo nemico più pericoloso, colui che alimenta le forze dell’Inghilterra impegnata nella lotta decisiva per distruggere la potenza francese e sostenere i suoi nemici, la Spagna insorta, la Russia, la Prussia, l’Austria. E sarà proprio Metternich, alla fine, il ministro austriaco simbolo della Restaurazione, a confidare che i Rotschild, dopo il 1815, hanno raggiunto un grado di potenza superiore a quello di molti Stati: dalle loro centrali di Londra e Parigi (in quest’ultima sono diventati, naturalmente, i banchieri dei Borboni, come prima lo erano di Bonaparte) praticamente svolgono un ruolo decisivo nella politica dei governi. Il tutto partendo da inizi relativamente modesti e accumulando sempre più denaro sul denaro altrui, col sistema dei prestiti e dei finanziamenti occulti e con l’abile strategia di finanziare entrambe le parti in lotta, così da trovarsi sempre, alla fine, in una posizione vincente.
Citiamo una parte di un vecchio articolo di Ugo Bertone Il mestiere del ricco, apparso sul mensile Storia Illustrata (nr. 2 del Febbraio 1998, pp. 64-66):
Il caso vuol che un giorno il destino di Meyer Amschel [Rotschild] incroci quello del langravio di Cassel, l’avarissimo Guglielmo I, principe del Sacro Romano Impero, che disponeva di una cospicua fortuna frutto della vendita al regno d’Inghilterra dei sudditi maschi, contadini e montanari, come mercenari. Grazie all’interessamento (non disinteressato) del segretario del principe, Buderus, i Rotschild riescono a ottenere il titolo di agenti di corte, proprio alla vigilia delle guerre che sconvolgeranno l’Europa. E che faranno la fortuna della casa di Francoforte, visto che questa, dal 1792 al 1815, getterà le basi della sua immensa ricchezza sfruttando tutte le occasioni che le guerre e il blocco napoleonico consentiranno a loro e ad altri commercianti: penuria di mezzi e prezzi in ascesa; circuiti paralleli delle monete e contrabbando; alto costo del denaro; forniture agli eserciti con ampi margini di guadagno.
I Rotschild, dopo l’avanzata francese oltre Reno, si trovano ad amministrare parte delle ricchezze del langravio, a tutto disposto pur di nascondere il suo tesoro a Napoleone. Quando il Bonaparte decide il blocco continentale dei commerci per fiaccare la potenza inglese, il figlio maggiore di Meyer Amschel, Nathan, si trasferisce a Londra per organizzare, sfruttando la garanzia dei capitali del langravio, una lucrosissima rete di contrabbando dei prodotti inglesi. Intanto Jacob, più noto in seguito come James, viene mandato, a 19 anni, a Parigi per seguire gli affari, sempre più complessi, della casa. Da lui passerà l’operazione più rischiosa (e lucrosa): far arrivare al duca di Wellington, impegnato nella guerra ai francesi in Spagna, il denaro necessario per finanziare l’esercito. Sotto il naso di Napoleone, e nonostante ripetute perquisizioni, la rete dei Rotschild riesce a rifornire Wellington con una triangolazione Londra-Parigi e la Spagna che impegna almeno quattro dei cinque rampolli di Meyer Amschel: Salomon e James, che vivevano in Francia, ricevevano le monete d’oro da Nathan; cedevano poi la moneta inglese a banchieri parigini e la trasformavamo in tratte su banchieri spagnoli che ne versavano l’importo a Wellington; un altro fratello, Carl, sorvegliava intanto il passaggio delle tratte attraverso i Pirenei e comprava di contrabbando i biglietti emessi dal generale inglese che, attraverso la trafila inversa, tornavano a Londra e lì venivano convertiti in quattrini sonanti (e guadagni commisurati al rischio, almeno il 40%) da Nathan.
È in questo modo che i Rotschild, pur non passando mai seri guai sotto Napoleone, cominciano ad essere conosciuti nelle corti di tutta Europa. Nel 1814-15, nei libri contabili di James, a Parigi, compaiono depositi dei governi inglese, prussiano e russo che serviranno a pagare le spese di occupazione in Francia. Talleyrand ricorrerà allo stesso James per l’anticipo delle riparazioni di guerra e a Parigi passata la paura dei cento giorni dopo il rientro di Napoleone dall’Elba, il finanziere diventerà il banchiere dei Borboni (per poi trasformarsi, dopo la rivoluzione del 1830, nel più intimo puntello di Luigi Filippo, di cui fu l’amministratore dei beni personali. A Londra, intanto, le apparizioni di Nathan in borsa saranno sempre più notate: quel diavolo d’uomo, diventato uno degli agenti abituali al servizio del tesoro della corona britannica, disponeva di una propria flotta che trasportava denaro, valori, lettere, e di una rete di informatori sul continente a cui i fratelli (anche Salomon a Vienna e Carl a Napoli) prodigavano ogni cura. Così Nathan poteva disporre del monopolio del bene più prezioso per una Borsa: l’informazione. Grazie ai suoi corrieri, Nathan seppe prima del governo della sconfitta di Napoleone a Lipsia nel 1813 e a Waterloo nel 1815, informazioni che gli consentirono colossali guadagni allo Stock Market.(…)
Ancor più significativo il parere del principe di Metternich, grande stratega degli equilibri europei dal 1815 al 1848 e, manco a dirlo, anche lui in affari non sempre confessabili con la dinastia del danaro. «La casa Rotschild – scrisse all’ambasciatore a Parigi – svolge in Francia, per delle ragioni naturali che tuttavia non mi sentirei di definire buone né, soprattutto, morali, un ruolo ben più considerevole di quello degli stessi governi e la gran molla è il denaro».
James, il banchiere dei re, capace di superare la prova di due rivoluzioni, quella del 1830 e quella del ’48, e capace di sopravvivere alla freddezza e all’ostilità di Luigi Bonaparte, Napoleone III: 15 ore di lavoro al giorno in un ufficio spoglio, disadorno, vigilando sull’attività dei tre figli; il 17 febbraio del 1862 l’imperatore dovrà fare visita al patriarca nel castello di Ferrières, il primo ad avere acqua calda e fredda corrente, riscaldamento centrale, una piccola ferrovia a collegare le cucine con i saloni tappezzati di Van Dick, Rubens, Giorgione, Velazquez. Più potente lui o il fratello Nathan, re della finanza alla City? Difficile dirlo…
E questo è solo uno spaccato limitato nello spazio e nel tempo: in sostanza due capitali, l’inglese e la francese, e un arco temporale di circa settant’anni, dal 1792 al 1862; poi verranno le altre capitali, compresa quella statunitense; altri stati, altri governi, altre guerre, altre rivoluzioni: e i Rotschild sempre più potenti e sempre più abili a tenersi nell’ombra, dietro le quinte della storia. Per dare un’idea della loro crescente potenza, andando oltre quell’arco temporale, quando il capo del Foreign Office, lord Balfour, il 2 novembre 1917, rese pubblica la dichiarazione secondo la quale il governo britannico avrebbe guardato con favore la creazione di un focolaio nazionale ebraico in Palestina, in pratica la benedizione al compimento del sogno sionista (le truppe britanniche avevano appena occupato la Palestina, allora territorio dell’Impero ottomano, e quindi la Gran Bretagna era in condizione di dar attuazione pratica a quell’auspicio), ebbene lo fece consegnandola in forma di lettera privata nelle mani di un Rotschild, Lionel Werther, figlio di lord Nathaniel. È abbastanza chiaro? Il destino di un popolo – anzi di due popoli, dato il piccolo particolare che la Palestina non era rimasta vuota dopo la diaspora degli ebrei, ma nel corso dei secoli era stata popolata dagli arabi – viene deciso dal governo di una grande potenza che si accorda privatamente col multimiliardario di una grande dinastia di banchieri, i Rotschild, passando bellamente sopra la testa di tutti i politici inglesi e degli altri Stati, e naturalmente di tutti i parlamenti, e beninteso all’insaputa dei più diretti interessati: il governo turco, che non aveva affatto rinunciato alla sovranità sulla Palestina, e che del resto non era stato ancora costretto alla resa, né forzato da una conferenza di pace internazionale a rinunciare alle sue province esterne; e il popolo arabo-palestinese, dalla cui terra avrebbe dovuto essere ricavato, mediante amputazione, il promesso focolaio nazionale ebraico, gettando il seme di un prossimo, inevitabile conflitto (cfr. il nostro articolo: Una pagina al giorno: La Palestina sarà una terra di sangue, di Giovanni Preziosi, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 25/08/09 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 18/01/18).
E se questo era il livello di potenza effettiva raggiunta dai Rotschild nel secondo decennio del XX secolo, possiamo solo immaginare quale debba essere l’attuale, cioè dopo altri cento anni, nel corso dei quali è terminata la Prima guerra mondiale, è stata ridisegnata la carta dell’Europa con la cancellazione di quattro grandi imperi, poi si è consolidato il comunismo in Russia, poi c’è stata la Seconda guerra mondiale e, dopo di essa, una nuova sistemazione internazionale, indi altri quarant’anni abbondanti di Guerra fredda, e da ultimo la globalizzazione, fino agli esiti estremi che il Nuovo Ordine Mondiale sta recando all’umanità a partire dal 2020 e dall’instaurazione della falsa emergenza sanitaria, come pretesto per attuare il Great Reset.
E adesso proviamo a fare un ragionamento. C’è una banca, così potente da determinare la politica dei governi, e così abile e tempestiva da potersi finanziare con l’anteprima di notizie riservate, che le consentono di acquistare o vendere azioni nei momenti decisivi del mercato borsistico. Ci sono guerre, rivoluzioni, insurrezioni e restaurazioni, tutte finanziate da quella banca o da banche ad essa consociate. E c’è una sola famiglia di banchieri che gestisce gli utili e decide i nuovi investimenti, a raggio sempre più ampio. Alla fine ci di deve porre la domanda: quei banchieri si limitano a sfruttare le situazioni esistenti, o sono addirittura capaci di crearle? Cosa accadrebbe se lo storico cominciasse a domandarsi se i grandi eventi del XX secolo, le due guerre mondiali, il comunismo, il nazismo, la creazione dello Stato d’Israele, lo stesso genocidio degli ebrei da parte di Hitler, non possano essere stati parte di una strategia ben precisa voluta e pianificata, e non solo sfruttata, da quei potentissimi banchieri? Avevano sia l’interesse, sia i mezzi e le occasioni per farlo. Avevano anche accumulato esperienza, coltivato amicizie e si erano assicurati gli uomini giusti ai posti giusti…