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«Se Cristo non è risuscitato, è vana la nostra fede»

francesco lamendola Apr 05, 2023

C’è una cosa, nel cristianesimo, che da sempre dà un enorme fastidio non solo i liberi pensatori, ai marxisti, ai materialisti, ai razionalisti, ma anche – ed è un bene, perché così cadono le maschere – agli idealisti, agli spiritualisti figli di non si sa quale spiritualità, ai deisti figli di non si sa quale dio (o forse lo si sa anche troppo bene), ai devoti senza fede, ai cristiani senza dogma, ai cattolici adulti e dialoganti con questi e con quelli, nemici di ciò ch’essi chiamano mito e grandi amici, in compenso, della massoneria: la Resurrezione di Cristo dal sepolcro, il terzo giorno dopo che era morto.

La sua morte non fa problema, è la sua Resurrezione a costituire un grosso problema. In altre parole, ad essi va bene il cristianesimo come dottrina morale e come  codice di valori, ma non piace come testimonianza del Verbo che si è fatto carne e che è venuto ad abitare sulla terra, uomo in mezzo agli uomini, per morire sulla croce e poi risorgere. Quest’ultimo è un Gesù indiscreto, improbabile, tirannico: pretende di essere Dio, vuole essere riconosciuto come tale: ed è questo che li manda in furore, proprio come andarono in furore i membri del Sinedrio di Gerusalemme che Lo giudicarono e Lo condannarono a morte. Un Gesù maestro di bontà e saggezza, un Gesù da mettere nella galleria dei grandi insegnanti spirituali, vicino a Socrate e Mosè, a Buddha e Confucio, a Lao-Tse e magari alla signora Blavatsky; un Gesù che fa la sua figura fra gli altri, questo sì, lo possono accettare e perfino digerire: hanno lo stomaco robusto costoro, e una capacità digestiva formidabile. Digeriscono tutto quello che vogliono: purché sia qualcosa d’immanente, o di riconducibile all’immanenza.

È la trascendenza che odiano; neppure: è la trascendenza di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che non sopportano; perché una trascendenza generica, evanescente, indistinta e disincarnata, quella non dà loro ombra, quella anzi viene da essi trasformata in quella poltiglia o brodaglia vagamente spirituale sulla quale pretendono di costruire la loro “sapienza”. Ma vogliono che al centro di tutto vi sia sempre l’uomo: non l’uomo-Dio, ma l’uomo-uomo; e se Gesù Cristo è risorto dai morti, allora ciò significa che Egli era davvero il Figlio di Dio, il che guasterebbe tutti i loro piani. Nulla deve ergersi al di sopra dell’uomo: essi appartengono alla razza dei livellatori, di quelli che mozzano le torri perché nessun edificio della città s’innalzi al di sopra delle loro abitazioni, che sono povere casette ad un piano. Spacciano il loro umanesimo integrale per qualcosa che è a misura dell’uomo, mentre è a misura dei loro pregiudizi, della loro limitatezza, della loro gelosia meschina. Guai se una luce più brillante della loro viene ad illuminare il mondo: loro, e loro soltanto, sono i portatori di luce; loro, e loro soltanto, hanno la ricetta per far crescere l’uomo in sapienza, civiltà e progresso. Loro hanno la ricetta giusta: e Gesù come Figlio di Dio viene a guastare i loro piani, è come il bruscolo nell’occhio.

Pertanto, da sempre, essi si affannano a smontare i racconti evangelici della Resurrezione: a demitizzarli, come diceva Rudolf Bultmann. Sottolineano le contraddizioni (marginali) fra di essi, e tutti contenti ne traggono la conclusione che ciò attesta la loro assoluta non attendibilità come documenti storici. Non li sfiora l’idea che proprio quelle piccole contraddizioni sono la miglior prova della loro veridicità: perché se gli evangelisti si fossero messi d’accordo per rifilare agli uomini il grande inganno della Resurrezione di Cristo, certo si sarebbero messi d’accordo su ogni particolare, così da presentare una versione unica. Qualunque imbroglione o truffatore di mezza tacca sa questo, lo intuisce senza bisogno di fare grandi riflessioni: è tanto evidente che non mette conto neanche di dimostrarlo.

Ma ecco che questi esigentissimi critici, questi nemici giurati del mito, cadono nella più banale delle irrazionalità e nel più assurdo dei miti: negare il racconto dei Vangeli e sostenere che un po’ alla volta le attese degli Apostoli hanno fatto nascere, non si sa bene come, se in buona o cattiva fede,  la poetica e patetica  leggenda della Resurrezione. Questa ad esempio è l’interpretazione dello storico delle religioni Ambrogio Donnini, discepolo, non per nulla, del sacerdote modernista e scomunicato Ernesto Buonaiuti. Senza badare al fatto che un mito, o leggenda, ci mette secoli e millenni per formarsi, non già pochi anni. Invece quando gli evangelisti scrivevano, erano ancor vive e moltissime persone che avevano visto e udito personalmente Gesù Cristo. Come avrebbero potuto mettere in giro una frottola così colossale, sapendo che sarebbero stati subito smentiti, zittiti, ridicolizzati da migliaia di testimoni oculari? Se scrissero le cose che scrissero, è evidente che si sentivano sicuri del fatto loro. Non perché avessero una spiegazione, che infatti non avevano per nulla, anzi erano i primi a stupirsene, ma perché sapevano che così erano andate le cose. E se raccontavano che i primi testimoni della Resurrezione erano state le pie donne, e lo mettevano per iscritto, pur sapendo che nella società d’allora, e nella legislazione d‘allora, la parola di una donna non contava alcunché, questa è un’altra prova della loro sincerità e quindi della loro attendibilità. Nessuno si sarebbe dato a quel modo la zappa sui piedi se avesse voluto ordire un inganno e creare una leggenda fasulla.

Gli Apostoli erano i primi a non aver alcuna spiegazione plausibile di quanto era accaduto nel sepolcro fra la notte di venerdì e il mattino del sabato santo. Sapevano soltanto che lo avevano trovato vuoto. Eppure all’esterno di esso aveva vigilato tutta la notte un picchetto di guardie: le quali, anch’esse, non sapevano spiegare cosa fosse successo. I sacerdoti dissero loro di spargere la voce che quella notte erano venuti i discepoli del Nazareno e ne avevano trafugato il cadavere, mentre loro dormivano. Ma se dormivano, come potevano dire una cosa del genere? Come avevano fatto a vederli? Questa storia sì, che puzzava d’imbroglio lontano un chilometro: eppure fu creduta dai Giudei, e fu la giustificazione dell’atteggiamento assunto, allora e dopo, dal Sinedrio, verso i seguaci di Gesù: che tutta la fede di questi ultimi si reggeva su una truffa, sul trafugamento di un cadavere spacciato per Resurrezione. Eppure quel “cadavere” entrava nella sala del Cenacolo a porte chiuse, e chiedeva a Tommaso di mettere il dito nella ferita del costato: nessuno andrebbe in giro a raccontare una storia così “assurda”, se non fosse spinto dallo shock di averla vista con i propri occhi.

Fra l’altro, essi si sarebbero aspettati, semmai, che Gesù trionfasse sulla morte come un Messia vittorioso, per giudicare i vivi e i morti e per stabilire il regno d’Israele; quel tipo di Resurrezione contraddiceva le loro segrete speranze. Ebbero bisogno di tempo per capire, alla luce di quella Resurrezione, il vero significato della vita e dell’insegnamento di Gesù, il loro Maestro. Avevano vissuto con Lui senza aver capito: dovevano ricominciare da capo, ripartire da zero: con l’assistenza dello Spirito Santo, ma senza di Lui, senza più la Sua presenza fisica. Il fatto della morte di Gesù li aveva posti sulla bilancia della fede, e li aveva trovati terribilmente scarsi: non per nulla Lo avevano tradito, Lo avevano abbandonato, erano corsi a nascondersi, pieni di paura e di vergogna, tormentati da mille dubbi, rimpianti e rimorsi. Erano ancora ben lontani dall’essere Suoi degni continuatori: dovevano imparare quasi tutto, ripensare quel che era stato e cominciare a vederlo con occhi nuovi. Gli occhi della Nuova Alleanza, non più dell’Antica, ossia della Legge, dei rabbini e dei farisei. Di quelli che avevano condannato a morte Gesù come un disturbatore delle loro certezze, come un bestemmiatore della fede dei padri.

Un altro gruppo di “studiosi” ha sostenuto, sena arrossire, la palese assurdità che Gesù fu tratto vivo dalla croce; deposto vivo nel sepolcro; e che poi se ne andò altrove di nascosto, magari fino in India o nel Tibet, dove ancor oggi si indica ai viaggiatori un po’ creduli la sua tomba e si attesta che egli visse molti anni, sino alla morte naturale, di vecchiaia, come tutti gli altri esseri umani (e non senza essersi sposato e aver dato inizio a una successione in piena regola). Questa tesi cervellotica e piuttosto ridicola è stata raccolta anche da Massimo Bontempelli (storico marxista omonimo, non parente, del famoso scrittore) ed Ettore Bruni nella loro opera Il senso della storia antica (Milano, Trevisini Editore, s. d. [ma 1989], vol. 2, p. 487) che la fa risalire all’inglese Hugh Schonfield, definito addirittura «uno dei massimi studiosi contemporanei del Nuovo Testamento». In realtà, Hugh Schonfield (Londra, 1901-ivi, 1988) era un ebreo convertito parzialmente, e malamente, al cristianesimo, poi espulso dalla International Hebrew Christian Alliance per la sua riluttanza ad ammettere appunto la Resurrezione di Cristo, indi riavvicinatosi al giudaismo messianico e rimasto scontento e disgustato anche di quello. È stato tutt’altro che uno dei massimi studiosi del Nuovo Testamento, ma un saggista versatile e brillante (anche troppo), che nei suoi numerosi libri si è occupato un po’ di tutto, dalla vita dell’esploratore africano Richard Francis Burton, alla storia del Canale di Suez, alla sacra Sindone di Torino. Il suo libro Cristo non voleva morire, che è tutto un programma fin dal titolo, pubblicato nel 1965 (e tradotto in italiano nel 1968), sostiene che Gesù venne deposto dalla croce un po’ malridotto, ma ben vivo e vegeto, secondo un piano astutamente congegnato da Lui stesso coi suoi Apostoli; ed è stato sì un best-seller, ma un tipico best-seller di scandalo che gli studiosi seri – a prescindere dalle loro personali convinzioni religiose - si sono ben guardati dal prendere minimamente sul serio; e infatti basta una rapida ricerca bibliografica per constatare che non lo cita nessuno, ma è andato semplicemente ad aggiungersi alla ricca bibliografica pseudostorica e pseudoscientifica sulle origini del cristianesimo e sulla “vita nascosta” del suo Fondatore.

Scrive san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (15,12-20):

12Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? 13Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! 14Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. 15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.

20 Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.

Su tutta la questione, ci piace riportare qui le parole del padre francescano conventuale Raniero Sciamannini nel suo libro … e il Verbo si fece carne, Firenze, Edizioni Città di Vita, 1964, pp. 144-146):

Sotto le variate colorazioni il fatto resta quello che è e tutti puntano su di esso. Invano si cercherebbero elaborazioni artificiose in quelle pagine [i racconti evangelici della Resurrezione]; tutte trasmettono lì impressione immediata del testimonio oculare. Basterebbe confrontarle con l’insincerità tronfia degli apocrifi. Più che dei fenomeni cosmici della resurrezione parlano del risorto, non s’interessano ai fatti circostanziali, ma al fatto della Resurrezione, cui consacrano la serietà dello storico.

Di quale basilare importanza sia per il cristianesimo la resurrezione di Cristo stanno a dimostrarlo, di riflesso, gli sforzi con cui la critica atea ha cercato di negare il fatto. Suo obiettivo costante è stato di stralciare la Resurrezione dal quadro realistico della vita di Gesù, opponendovi modi di spiegazione così strani da rasentare il ridicolo.

Mitologi stravaganti dissero Cristo un DIO SOLARE e la sua Resurrezione un’allusione al fenomeno dell’ascesa e della discesa dell’astro sull’orizzonte. Non c’è chi non ne rida.

Altri ha insistito sulla MORTE APPARENTE: una sincope avrebbe dato all’uomo crocifisso l’aspetto esterno del defunto; ma, una volta destatosi dal suo svenimento, sarebbe uscito dal sepolcro. Risponde Renan per tutti: «La miglior garanzia posseduta dallo storico su un punto di questa natura, è l’odio sospettoso dei nemici di Gesù. I giudei avevano veramente troppo interesse ad assicurarsi che Gesù fosse ben morto».

In effetti nessun fariseo di allora dubitò della realtà della morte. Ricorsero al ritrovato del TRUCCO:  gli apostoli avrebbero rapito e fatto sparire il corpo di Cristo. «Diedero una grossa somma di denaro ai soldati, dicendo loro: - Diffondete nel pubblico la voce che i suoi discepoli sono venuti di notte, e l’hanno rapito mentre voi dormivate. E se il governatore viene a saperlo, noi lo persuaderemo, e vi metteremo al sicuro da ogni molestia. I soldati presero il denaro, e fecero quanto era stato loro detto. La voce che essi diffusero, si ripete ancor oggi fra i Giudei» (Mt 28,12-14). Discepoli davvero discreti se con la loro movimentata azione non riuscirono a destare le guardie, che peraltro si accorsero del loro ladrocinio!

La strategia dei moderni fa leva sulla capziosità tecnica e si concretizza nella TEORIA DEL VISIONARISMO. “Tête-à-tête” con la catastrofe, la comunità ei discepoli non sa rinunziare all’ideale messianico cui essi avevano offerto la vita intera; e questi, consolidandosi all’interno, studiando il modo di reagire con disperato fervore alla problematica delle ostilità esterne. Dal subcosciente, pian piano, affiora la certezza che Egli viva, perché sentono che non poteva morire: la fantasia si potenzia e lascia loro vedere questo bramato vedere. D’allora si susseguono visioni a visioni nelle quali, con desiderata certezza, si accorgono che Cristo viene loro incontro in carne e ossa. Evidentemente non è il Cristo storico di Nazareth, ma un Cristo pneumatico trasfigurato e imposto dalla fede.

Le obiezioni che informano questi diversi tentativi di corrosione sono assai più gravi di quelle che possono sorgere dall’accettare il fatto nella sua oggettività.

Anzitutto è metodo falso trasportare in blocco le concezioni moderne dell’illuminismo dualistico alla visualità dell’antico giudaismo. Per la mentalità monistica del pensiero ebraico era inconcepibile una risurrezione in un corpo non vero. In particolare, l’atteggiamento degli Apostoli nega i preliminari dispostivi che, nel processo psicogenetico, conducono al visionismo. Alla visione del sepolcro vuoto non si rallegrano, ma cadono nello sgomento; stimano “vaneggiamenti” (Lc 24,11; cfr. Mc 16,11) le cose raccontate dalle donne; quando se Lo vedono dinanzi «pensano di vedere uno spirito» (Lc 24,36)… Come, dunque, poteva nascere in loro questa convinzione se la sua forma non corrispondeva allo stato psichico del soggetto che la sperimenta? Il loro inconscio avrebbe dovuto incamminarli sulla via della negazione. La diffidenza proveniva dalla radicata attesa di un Messia terreno e nazionalista, da assidere sul trono di David e non sul legno della croce: ivi s’erano infrante se non estinte le speranze.

Infine, i testi del realismo sono formali e preclusono ogni altra via. Non è un fantasma colui che mangia e beve, che si fa toccare la piaga del costato. Non possono dirsi allucinati coloro che credono solo dopo lunga esitazione e maturato giudizio. Loisy, tutt’altro che indulgente per le spiegazioni soprannaturali, dice che «gli Apostoli e san Paolo non intendono raccontare delle impressioni soggettive: essi parlano di una presenza del Cristo obiettiva, esteriore, sensibile; non di una presenza ideale, meno ancora di una presenza immaginaria». Soltanto l’oggettività delle cose accadute, di là da ogni costruzione chimerica, poteva rilasciare alla Resurrezione le proporzioni che ha assunto nel cristianesimo.

Nonostante le citazioni (imprudenti, a nostro avviso) di Renan e di Loisy, concordiamo su tutto il resto.

È vero che il racconto della Resurrezione di Cristo è, umanamente parlando, irricevibile; ma il problema è che le spiegazioni alternative lo sono ancor di più.

Pertanto bisogna scegliere: o fidarsi della Parola di Dio e accettare ciò che la mente non arriva a comprendere, e tuttavia non contrasta con la ragione, ma solo con l’esperienza ordinaria; o arrampicarsi sugli specchi per smentire quel racconto.

Ci sembra più che mai azzeccata la riflessione di Jean Guitton:

Il Dio cristiano è discreto. Ha posto un’apparenza di probabilità nei dubbi che concernono la Sua esistenza. Si è avvolto di ombre per rendere la fede meritoria e, senza dubbio, anche per avere il diritto di perdonare il nostro rifiuto. Occorreva che la soluzione contraria alla fede conservasse verosimiglianza, per lasciare completa libertà di azione alla Sua misericordia.

E quella di Blaise Pascal:

Poiché Dio, se esiste, è nascosto, come dimostra la nostra esperienza e la storia dell’umanità, ogni religione che non cominci riconoscendo questo nascondimento non può essere vera.