Se Dio non è cattolico – Tradizione e dottrina della Fede tra Pietro e Bergoglio
Aug 18, 2023Ormai non si contano più le uscite almeno inopportune se non le dichiarazioni, anche scritte, di Francesco in contrasto con la Tradizione cattolica.
Quest’ultima, va osservato, non è però quel che intende comunemente la gente, ossia sinonimo di conservazione, se non, peggio, di bieca reazione ad ogni progresso. Cosa sia la Tradizione è ben spiegato da San Paolo Apostolo: “vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io” (I Corinzi 15, 3), il messaggio di salvezza di Cristo Gesù. Tradizione, dunque, deriva dal latino “tradere”, “consegnare”, ad esprimere, appunto, quel ‘passaggio delle consegne’ da Gesù agli Apostoli e da questi ai loro successori fino al nostro tempo. La Tradizione, insomma, è la condizione del deposito della fede – come lo chiama ancora l’Apostolo -, che va dunque preservato nei secoli: “O Timòteo, custodisci il deposito” (I Timoteo 6, 20). Perciò il “Magistero non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, § 86, e Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum 10).
La ragione ultima di questa salvaguardia ad opera della Chiesa è che “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Ebrei 13, 8). Se, quindi, l’annuncio della verità salvifica dev’essere adeguato all’uomo contemporaneo nonchè ai diversi luoghi e alle diverse circostanze, l’oggetto, o contenuto, dell’annuncio stesso rimane intangibile, poiché la verità, per definizione, non varia al mutare delle epoche o delle mode.
Siffatto principio, tuttavia, pare non piacere a Francesco, il quale, atto dopo atto, sembra picconare quella che sinora è stata la Tradizione della Fede Cattolica. La radice di quest’azione risiede, a mio avviso, nell’avversione che egli ha per la dottrina e che comunica sistematicamente. Jorge Mario Bergoglio confonde, infatti, la Tradizione con una “visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature”. Visione che “è sbagliata”: così ha eloquentemente affermato, nell’Agosto del 2022, nella conversazione con i Gesuiti in Canada. Ne discende che chi, secondo lui, ha questa “visione” è “rigido”, come afferma ricorrentemente. Di contro e pertanto “dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove”, come ha detto nel discorso alla Curia Romana del 20 Dicembre 2019.
Ammettendo che siffatta impostazione sia corretta, vediamone le implicazioni. Analizziamo, cioè, il portato della “visione” di Francesco circa la Tradizione della Fede e della Chiesa Cattolica, prendendo in considerazione uno dei punti più qualificanti della Fede stessa, ossia il suo rapporto con le altre religioni, con cui, non da oggi, la Chiesa è in dialogo e confronto perché “i cristiani”, se “è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini” (Vaticano II, Dichiarazione Nostra Aetate 5).
Ora, è nota l’asserzione di Bergoglio che “Dio non è cattolico”, locuzione almeno infelice, specie se pronunciata da chi siede sul Soglio Pontificio; usata prima dal Cardinale, anche lui gesuita, Carlo Maria Martini in un suo volume del 2008 e poi dallo stesso Francesco nel corso di un’intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari.
Che questa sia tutt’altro che una boutade, quantunque sconveniente, è però dimostrato da quella che si può considerare come l’articolata declinazione di quel motto, cioè la Dichiarazione di Abu Dhabi del 4 Febbraio 2019, sottoscritta dallo stesso Francesco, nella qualità di “Sua Santità”, unitamente al Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb. In questo documento Bergoglio scrive che: il “pluralismo e le diversità di religione […] sono”, invero, “una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”.
Secondo Jorge Mario Bergoglio, dunque, le varie religioni non contengono elementi di verità frammisti ad aspetti ingannevoli, come insegna lo stesso Concilio Ecumenico Vaticano II, nella, già menzionata, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra Aetate. Qui, infatti, si legge che tali religioni “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (Nostra Aetate 2). Ma “un raggio di quella verità” non significa totalità della verità, svelamento integrale di Dio all’uomo. Tanto è vero che lo stesso documento soggiunge che la Chiesa “annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è « via, verità e vita » (Gv 14, 6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose”. La “pienezza”, quindi, è in Cristo e la Chiesa ha il dovere (non la facoltà !) di annunciarlo, per cui è insegnamento costante – o tradizionale, nell’accezione vista all’inizio – della Chiesa Cattolica che tutti gli uomini sono chiamati all’unione con Cristo, che è la luce del mondo (cf. Lumen Gentium 3).
Secondo Francesco, invece, le religioni sono tutte riferibili non solo alla “sapiente volontà divina”, ma anche all’atto della creazione. Questa asserzione, tuttavia, non tiene conto della relazione primigenia tra Dio e Adamo ed Eva, i quali non potevano avere, per logica, altro credo se non quello vero in quanto erano in profonda comunione con l’unico Dio. Come non tiene conto della successiva disobbedienza dei Progenitori e della caduta che ne è derivata, fino al disordine della Torre di Babele (cf. Genesi 11, 1-9).
La Scrittura insegna chiaramente che la diversità di vedute su Dio e quindi la diversità delle religioni è conseguenza del peccato dell’uomo, della sua superbia. Ma per perseguire il fine, in sé corretto, della pacifica convivenza tra gli uomini Francesco deforma manifestamente la verità ponendo, di fatto, sullo stesso piano la Fede Cattolica e le altre religioni. O, comunque, induce a crederlo con un testo che è tutt’altro che inequivoco e quindi veritativo nella sua formulazione.
La libertà di cui parla la Dichiarazione di Abu Dhabi, giustamente definita come “un diritto di ogni persona”, non può essere sovrapposta al piano della verità. Se, invero, libertà e verità concorrono sempre nell’esistenza umana, sia personale che relazionale e sociale, non si può ignorare come esse operino su livelli differenti. La libertà, infatti, spiega ogni cosa, perché essa è la condizione nativa dell’uomo stesso. Ma la giustificazione, nel senso di “iustum” – “facio” (= rendo, giudico giusto), agisce non sul primo livello, quello della libertà, ma su quello, ulteriore, della verità.
A scanso di fraintendimenti va precisato che, indubitabilmente, la verità non può essere imposta. Non “è mai lecito”, infatti, “ad alcuno indurre gli uomini con la costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza”, stabilisce il canone 748, § 2, del Codice di Diritto Canonico, dato dal Papa Giovanni Paolo II nel 1983. Tuttavia dall’illiceità dell’eventuale imposizione della fede non discende necessariamente e di conseguenza (filosoficamente: ”non sequitur”) che ogni religione sia, sotto il profilo della verità, uguale o assimilabile all’altra, a tal segno che si possa sostenere – come fa Bergoglio ad Abu Dhabi – che il pluralismo religioso sia frutto di una “sapiente” e creazionale “volontà divina”.
Stando al Magistero perenne della Chiesa Cattolica egli, ancora una volta, confonde: segnatamente il piano della volontà divina diretta (che infatti lui definisce “sapiente”) e quello della volontà indiretta o di permissione. La circostanza, cioè, che Dio permetta che l’uomo, dopo il peccato originale e particolarmente dopo Babele, abbia seguito svariate religioni non equivale a dire che ciò esprima la “sapiente”, e creazionale, “volontà divina”. Perché Dio, in realtà, permette pure il male (cf. Catechismo, § 412).
Il testo, poi, risulta ancora più equivoco se si nota che è logicamente erroneo, come fa la Dichiarazione di Abu Dhabi, giustapporre la diversità di credo e quella “di colore, di sesso, di razza e di lingua”. Soprattutto colore, sesso e razza, infatti, sono fattori platealmente distinti dalla fede, perché, a differenza di quest’ultima, che può essere appresa o ricercata, costituiscono un dato biologico a priori per ogni persona umana.
Dio, dunque, nella sua unicità non può contraddire se stesso volendo sapienzialmente e creazionalmente – come asserisce Bergoglio – diverse religioni, anche se le permette. La Rivelazione definitiva di Dio in Cristo, Verbo del Padre, incarnato, crocifisso e risorto per tutti gli uomini, non è affatto equiparabile ad altre concezioni di Dio, costituite dalle varie religioni. Nel cristianesimo, infatti, la verità non è (solo) una dottrina, ma è soprattutto una persona: quella di Cristo.
È perciò quantomeno singolare che ciò sfugga a Francesco, che tanto aborre la dottrina preferendo – dice – la sostanza della fede. Invero proprio su questo punto, centrale, dottrina e sostanza coincidono in Cristo, che nel Vangelo (cf. Giovanni 14, 6) si rivela agli uomini come la via – non una via -, la verità – non una verità -, la vita – non una vita -. Qualunque, tra tante.
Chi siede sul Soglio Pontificio, dunque, non può credere e insegnare diversamente. “Tutti gli uomini”, infatti “sono tenuti a ricercare la verità nelle cose, che riguardano Dio e la sua Chiesa, e, conosciutala, sono vincolati in forza della legge divina e godono del diritto di abbracciarla e di osservarla” (Codice di Diritto Canonico, can. 748, § 1).
Siffatta “visione” di Francesco della Fede Cattolica, praticamente confusa tra le altre religioni, non è, però, priva di conseguenze. Per limitarsi solo ad alcuni temi, necessariamente accennati – dalla celebrazione in Vaticano della Pachamama, oggetto persino di una moneta pubblicizzata nell’Ottobre 2020, alla Comunione a divorziati e risposati di fatto permessa dal capitolo VIII di Amoris Laetitia; allo sdoganamento dell’uso di feti abortiti nei vaccini -, si ha la conferma che la “visione” in materia di fede di Bergoglio si traduce, anche sul piano morale, nella deprivazione della Fede della Chiesa Cattolica dei suoi “propria”, in una sempre maggiore confusione tra mondo e altre religioni.
Non sorprende, perciò, quanto Francesco ha recentissimamente scritto al nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede Mons. Víctor Manuel Fernández: “la Chiesa ha bisogno di crescere nella sua interpretazione della Parola rivelata e nella sua comprensione della verità”, ma ciò non “implica l’imposizione di un unico modo di esprimerla. Le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se armonizzate dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa”.
Tali righe, purtroppo, non sono solamente un manifesto programmatico, ma esprimono già una realtà: la grave confusione intraecclesiale in atto, infatti, prova che non esiste più una verità, bensì, appunto, “diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale”.
Nonostante l’erronea illusione che esse possano essere “armonizzate”, perché persino lo Spirito Santo non smentisce uno dei criteri fondamentali del nostro conoscere ed agire, come creato dal Signore, secondo la ragione naturale: il principio di non contraddizione (A non è NON A). Il quale non è, bergoglianamente, “rigidità”, bensì corrisponde al comando di Cristo: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Matteo 5, 37).
Il Signore, volendo il munus petrinum, ossia la funzione del Papa, ha detto a Simone: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Matteo 16, 18): la Chiesa ha perciò un fondamento apostolico (Pietro) rimanendo nel contempo la Chiesa sua, di Cristo.
Ma se Dio non è (più) cattolico quella di oggi può ancora dirsi la Chiesa di Cristo – “una santa cattolica e apostolica” (Simbolo niceno-costantinopolitano) -, edificata su Pietro e quindi sulla Tradizione Apostolica? O è, piuttosto, la chiesa di Bergoglio?
Viterbo, 8 agosto 2023 – Memoria di San Domenico