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Senza confini, senza umanità. Ovvero: una notte che non vuole stelle

andrea giacobazzi radio spada Jul 14, 2023

Due volumi certamente diversi  – ma non privi di reciproche connessioni – ovvero “Umano solo umano – Il mistero del linguaggio” di Francesco Avanzini (F&C, 2020) e “Il Darwinismo: un mito tenace smentito dalla scienza” di Dominique Tassot (Edizioni Radio Spada, 2023) conducono ad alcune riflessioni sulle dinamiche socio-politiche del tempo presente.

Ci si chiederà come questi testi, apparentemente distanti dalle scienze sociali applicate all’analisi della contemporaneità, possano fornire un contributo a tale materia. Ebbene la relazione c’è, e forte: lo sguardo sulla società è ineludibilmente uno sguardo sull’uomo, sulla sua storia, sulla sua origine, sulla sua natura, dunque sul suo fine.

Nei vari turni di esercizi spirituali cui mi sono iscritto ricordo, appena entrato nei cinque giorni di silenzio, la presentazione del programma teologico-antropologico (e sociale) di Sant’Ignazio: “L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore e per salvare, mediante ciò, la propria anima”.

Sì, ma cos’è l’uomo? Uno “scimmione con l’ansia”? Un semplice aggregato di molecole? Una pura illusione? La domanda è decisiva per capire cosa sia e come debba essere la società.

“La comparsa stessa dell’uomo è inscindibile dalla comparsa di un’attività razionale e libera, spirituale che non può essere stabilita dalla paleontologia”, l’apparire di “queste facoltà, uniche e irripetibili in altri esseri, è tuttora avvolta da un fitto mistero e reca in sé la traccia di qualcosa di soprannaturale”, scrive il Dott. Avanzini, medico otorinolaringoiatra e foniatra, alle pagine 216-217 del suo volume. Il tema cardine del libro è, appunto, il linguaggio umano: unico, non raggiungibile per gradi e approssimazioni, fondato sulla capacità di astrazione, sulla relazione coi simboli, su “un’altra natura” (p. 34), costituito da “eventi fisici e realtà immateriali” (p. 208), dunque non in grado di lasciare “tracce fossili” (p. 71).

La giornalista scientifica australiana Christine Kenneally sulla rivista Le Scienze del novembre 2018 ci dice che “nessuno ha trovato il Santo Graal: un evento che definisca e spieghi il linguaggio” (p. 206). Del resto Aleksandr Romanovič Lurija (neuropsicologo sovietico, 1902-1977) conferma che “il linguaggio è un vero miracolo” e questo, annota il Dott. Avanzini, “detto da un materialista, non è certo poco!” (p. 189). La differenza che separa l’uomo dagli animali in questo oscuro campo è qualitativa, non quantitativa: a riconoscerlo sono parecchi studiosi (p. 130).

L’uomo, nella misura in cui ha prerogative distinte dagli altri esseri viventi, deve avere pure un fine distinto: realtà immateriali, come quelle connesse al linguaggio, esigono un fine immateriale, e la società degli uomini, in quanto composta da soggetti aventi questo scopo, deve essere organizzata in modo da favorirlo. Risulta curioso notare in proposito come, da lunghi secoli, la lotta contro Cristo sia inseparabilmente una lotta contro la società e, in ultima istanza, contro l’uomo, fatto a “immagine e somiglianza di Dio”. La cancellazione del divino e dell’umano vanno quasi di pari passo, o almeno sono strettamente connesse.

Di questi temi, sotto un’altra angolatura, si occupa anche “Il Darwinismo: un mito tenace smentito dalla scienza” di Dominique Tassot.  Scorrendo le pagine si passano “in rassegna le curiose origini, i controversi sviluppi e le perniciose conclusioni del cammino darwinista” (nota edit.). Tassot “prende di petto la questione e l’affronta senza reticenze, dando uno sguardo complessivo e mettendone in discussione i fondamenti in campo ideologico, biologico, paleontologico e geologico. Nel farlo cita diversi autori: alcuni apertamente anti–evoluzionisti, altri evoluzionisti ma di scuole diverse e talvolta in conflitto tra loro (si pensi, per menzionare solo due casi, al neo–lamarckiano Pierre–Paul Grassé o all’anti–gradualista Stephen Jay Gould, autore della teoria degli equilibri punteggiati), ma soprattutto riporta molte espressioni di Darwin, per mostrarne le idee e la visione del mondo” (ibid.). Il libro è curioso e ben scritto, interessante in particolare per la parte in cui descrive i fondamenti molto più “letterari” che “scientifici” del darwinismo.

Ma al netto del dibattito sull’evoluzionismo che – fatte salve le definizioni dottrinali della Chiesa (v. ad es. Pio XII, Humani Generis, 1950) – è opportuno che sia coltivato nel campo degli specialisti, ciò che balza agli occhi è il “non detto” di una certa impostazione ideologica: il postulato folle, già intravisto in precedenza, che non vi sia una distinzione reale tra l’uomo e l’animale, tra il materiale e l’immateriale, tra i fini di un essere razionale e capace di atti soprannaturali e quelli di una bestia. Colpisce in particolare una conseguenza di questa cancellazione del limite: all’uomo ridotto ad una sorta di belva in camicia afflitta dall’insonnia, corrisponderà una società equivalente, ben diversa da quella eretta da un uomo capace di virtù soprannaturali e di vita eterna.

Pur non spingendomi troppo al di fuori delle scienze sociali, credo si possa dire che questi due libri (insieme certamente ad altri) mettono in evidenza la necessità di ritornare alla comprensione di cosa sia e cosa non sia l’uomo. Essere e non essere: il confine, la distinzione, il sì sì no no (che non si applica a tutto, ma certamente a molte cose).

La post-modernità, non casualmente, è un’epoca di impoverimento del linguaggio (lo nota il Dott. Avanzini a p. 212), di abbrutimento dell’individuo, di negazione della dignità della vita umana, di transumanesimo e di postumanesimo. Le premesse ideologiche sono lì da vedere: un filo rosso lega la caduta dei confini, dei limiti invalicabili, che la sovversione porta con sé. La negazione della separazione tra l’uomo e il non-uomo, che oggi arriva fino al cosiddetto antispecismo, è un punto importante ma non il solo: pensiamo, per fare qualche esempio, alla cancellazione dei confini tra la Vera Religione e le false religioni (ecumenismo indifferentista), all’insofferenza per l’esistenza di frontiere tra le nazioni (globalismo), alla disintegrazione o almeno al decadimento dei corpi intermedi (trasformazione del popolo in massa), alla negazione delle differenze sessuali (fluidità di genere).

Se l’idea dell’uomo (quindi delle sue origini e dei suoi fini) che abbiamo è distorta, sfumata, sbagliata, così sarà la nostra idea di società e in ultima istanza la nostra idea di Dio. Anche senza bisogno di congiurare ogni volta, anche nella buona fede inconsapevole di singoli attori, la “rivoluzione” funziona così: deve negare l’ordine per surrogarlo, deve sciogliersi dai vincoli che la realtà impone, deve portare avanti il “solve et coagula”.

Già esserne coscienti è un primo passo.