Un Prefetto della fede senza fede in Gesù Cristo?
Jul 06, 2023Continuando il processo di degrado e putrefazione della Chiesa istituzionale, il nostro vescovo connazionale di Roma ha nominato come nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede l’arcivescovo di La Plata (Argentina), e amico intimo del pontefice, monsignor Víctor Manuel Fernández, considerato uno degli autori dei testi pontificali di Francesco.
Dobbiamo riconoscere che Papa Bergoglio continua a essere abile nel “tirare fuori i conigli dal cilindro”, abilità dimostrata nella sorprendente e inaspettata nomina dell’arcivescovo di La Plata, monsignor Víctor Manuel Fernández, a capo della tutela della fede cattolica per la Chiesa universale. Soprattutto ha attirato l’attenzione perché il grande contributo teologico del prescelto è stato quello di proporre la salvezza dell’uomo attraverso il bacio, non la predicazione del nome di Gesù Cristo e la sua accettazione attraverso la fede.
All’inizio di maggio di quest’anno, nell’omelia di una Messa parrocchiale, l’arcivescovo di La Plata ha riconosciuto esplicitamente le dottrine bergogliane della sinodalità e dell’inclusione della comunità LGBT+ nella vita della Chiesa, al punto da sostenere che chi non accetta quest’ultimo atteggiamento inclusivo non può essere catechista nella Chiesa. Sappiamo che ci sono parrocchie e istituzioni educative cattoliche che permettono a persone favorevoli all’omicidio prenatale (aborto) e alla contraccezione di insegnare catechismo. Evidentemente, in questa nuova versione dell’ecclesialità, la cosa fondamentale è accettare l’omosessualità e le sue varianti per poter catechizzare, annunciando che la fede in Gesù Cristo è secondaria, così come non è un impedimento diffondere insegnamenti e dottrine contrarie alla Rivelazione per poter fare il catechista.
Ad accompagnare la nomina, don Jorge Mario Bergoglio ha scritto una lettera personale al prefetto designato, con diverse considerazioni o linee guida. Nella prima di queste, il pontefice afferma che lo scopo centrale del compito che don Victor dovrà svolgere è “custodire l’insegnamento che scaturisce dalla fede, per ‘dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che additano e condannano'”.
In questo senso, don Jorge gli fa capire che si tratta di un’azione molto diversa da quella che il Dicastero faceva “in altri tempi”, attraverso l’uso di “metodi immorali”, che anziché “promuovere la conoscenza teologica” si preoccupava di “perseguire possibili errori dottrinali”.
Ecco la “vulgata” bergogliana in tutto il suo splendore: la Congregazione per la Dottrina della Fede era un’istituzione malvagia che agiva immoralmente e combatteva “possibili errori”. La verità è che la Congregazione (o Dicastero, come ama chiamarla il Vescovo di Roma) ha prodotto numerose opere che hanno promosso la conoscenza teologica e in diversi casi hanno combattuto veri e propri orrori dottrinali. Basta visitare il sito web dell’organismo per trovarvi veri e propri contributi alla promozione della conoscenza teologica, in particolare il lavoro svolto dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nei suoi 22 anni alla guida del Dicastero, anche se il pontefice si considera il vero riformatore della Chiesa cattolica venuto a porre fine a un’epoca
In questa missione di correzione del male storico della Congregazione per la Dottrina della Fede, compreso il formidabile lavoro dottrinale, sacramentale e giuridico di Joseph Ratzinger, il Vescovo di Roma ricorda al suo eletto che deve cercare di “accrescere l’intelligenza e la trasmissione della fede al servizio dell’evangelizzazione, affinché la sua luce sia un criterio per comprendere il senso dell’esistenza, soprattutto di fronte agli interrogativi sollevati dal progresso della scienza e dallo sviluppo della società”, interrogativi che diventano “strumenti di evangelizzazione”, perché permettono di entrare “in colloquio con il contesto attuale”. Il tutto nel quadro della crescita nella Chiesa “dell’interpretazione della Parola rivelata” e della “comprensione della verità”, attraverso diversi modi di esporla, armonizzati “dallo Spirito nel rispetto e nell’amore”, una crescita che “preserverà la dottrina cristiana più efficacemente di qualsiasi meccanismo di controllo” (sic).
In questo caso, abbiamo il sentimento hippie di Bergoglio – pace, amore e armonia – come motore della vita della Chiesa, non il controllo o l’indicazione degli errori: “va tutto bene”, perché – come interpreta il nuovo prefetto – “gli errori non si correggono perseguitando o controllando, ma facendo crescere la fede e la saggezza”.
In realtà, Francesco vuole “un pensiero che sappia presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno”, cioè non il Dio di Gesù Cristo come presente nei Vangeli, ma un Dio etereo che non giudica, non premia e non condanna, perché è tutto dolcezza.
In definitiva, ciò che il nominato Fernández deve fare nel suo nuovo incarico è “verificare che i documenti del Dicastero stesso e degli altri abbiano un adeguato supporto teologico”, cioè che siano “coerenti con il ricco humus dell’insegnamento perenne della Chiesa e allo stesso tempo abbraccino il Magistero recente” (sic). In altre parole, adattare, accoppiare e integrare, chissà come, la Tradizione cattolica con i “contributi” teologici delle novità francescane, un compito impossibile da realizzare in linea di principio. Anche se don Bergoglio ritiene che il suo “pontificato” costituisca una novità che cancella duemila anni di storia ecclesiale.
Due cose colpiscono nel necrologio del Vescovo di Roma: da un lato, le 11 citazioni che accompagnano il breve testo, di cui 10 autoreferenziali, tratte dai documenti di Bergoglio, ignorando così la tradizione e la memoria storica della Congregazione per la Dottrina della Fede; dall’altro, l’assenza di qualsiasi riferimento e menzione esplicita a Nostro Signore Gesù Cristo, che è in realtà il titolare della Chiesa, non Bergoglio.
Questa assenza cristologica calza a pennello a don Víctor Manuel Fernández, come dimostra un’intervista concessa a un media digitale spagnolo alla fine di aprile 2020, subito dopo l’inizio della pandemia e del regime carcerario imposto a seguito di essa. In quell’intervista, l’allora arcivescovo di La Plata pronunciò 1.155 parole, nelle quali non fece un solo accenno a Nostro Signore Gesù Cristo. In questo senso, è sorprendente che un vescovo, in quanto successore degli apostoli, parli di evangelizzazione, di fede e di Chiesa, ma senza menzionare affatto il Capo della Chiesa.
Ma se non ha parlato di Gesù Cristo, di cosa ha parlato l’arcivescovo? In primo luogo, di ciò che la Chiesa fa in termini di assistenza sociale in tempi di coronavirus, di collaborazione con lo Stato, di partecipazione ecclesiastica alle azioni della società civile, con “il messaggio di una presenza discreta, umile e allo stesso tempo collaborativa e generosa”, in altre parole, ha parlato della Chiesa stessa, non del suo leader e fondatore. In secondo luogo, ha parlato di “dialogo con le nuove esigenze spirituali delle persone”, cercando “un linguaggio esistenziale che risponda meglio alle nuove sensibilità”, e poi dell'”aspetto incarnativo della spiritualità cattolica”.
In altre parole, non ha parlato dell’Incarnazione, del Dio fattosi uomo in Gesù Cristo, ma dell’aspetto corporeo della spiritualità. In terzo luogo, ha parlato della “perdita di interesse per i riti funebri” e della celebrazione della Messa via Internet, con i rischi e i limiti che ciò rappresenta, in quanto impedisce “la vicinanza sensibile, la presenza fisica”. In quarto luogo, ha menzionato la sfida che deve affrontare “la Chiesa di Francesco” di “responsabilizzare i laici”, “distribuendo il potere attraverso nuovi ministeri e funzioni laiche ‘dotate di autorità'” (sic).
Colpisce molto che i sostenitori della “Chiesa in uscita” pensino che la sfida per la Chiesa di Gesù Cristo sia quella di “dare potere ai laici” da parte della gerarchia sacerdotale. Monsignor Fernández sembra dimenticare che la missione dei laici non è quella di occupare spazi di potere all’interno dell’istituzione ecclesiale, ma di portare Gesù Cristo e il suo messaggio al mondo, e che questo è il potere laicale, da esercitare non ad intra ma ad extra: essere sale della terra e luce del mondo. Almeno in questa intervista, l’arcivescovo di La Plata ha dimenticato o ignorato che la Chiesa di Cristo è composta da gerarchia e laici, non solo dalla prima, e che entrambi devono essere in unità lumen Gentium, luce delle nazioni, e possono esserlo solo in unità: la gerarchia al servizio dei laici, e i laici al servizio di Cristo nel mondo.
Al termine dell’intervista, don Victor ha presentato la ciliegina sulla torta, sottolineando che ciò che è fondamentale nella Chiesa è la Chiesa stessa, e non il suo fondatore, che è sempre presente nella celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto nel giorno in cui si commemora la sua risurrezione: “Ci sono cose che a volte crediamo immutabili e in realtà non lo sono. Il precetto domenicale, ad esempio, non è indispensabile ed è qualcosa che può venire meno”.
La domenica è il “giorno del Signore”, il “dies Domini”, il giorno in cui Gesù Cristo è risorto dai morti, è “il giorno in cui il Signore ha agito”, un giorno di “gioia e letizia”, dice la Liturgia, ma per l’arcivescovo e nuovo prefetto l’Eucaristia è solo un precetto, un ordine o un mandato imposto da un’autorità, per questo può cadere, trasformarsi o scomparire.
Come si vede, per il nuovo custode e guardiano della Fede, intimo e devoto di Papa Francesco, GESÙ CRISTO NON È il principio e il fondamento del Corpo Mistico di Cristo, il suo culto non è indispensabile e può eventualmente scomparire. Per la maggior gloria del satanico e antiumanista Nuovo Ordine Mondiale. Pastori con l’odore delle pecore? Più che altro sono mercenari che puzzano di maiale. Dio abbia pietà delle loro anime.